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È a partire dal 2013 che si parla di Fashion Revolution, un’organizzazione no profit che si batte per un’industria della moda sostenibile, trasparente, sicura, per le persone e per l’ambiente.
Il Fashion Revolution Day nasceva nel ricordo di un drammatico evento: il 24 aprile 2013 morirono 1134 persone e oltre 2500 rimasero ferite, in seguito al crollo del complesso produttivo di Rana Plaza, a Dhaka, in Bangladesh, dove lavoravano soprattutto operai che confezionavano abiti per alcune case di moda. La Fashion Revolution Week nasceva intorno al ricordo di questo giorno e, quest’anno, cade dal 20 al 26 Aprile.
Lo scopo principale della Fashion Revolution Week è di sensibilizzare sulla questione dello sfruttamento dei lavoratori nel settore produttivo dell’abbigliamento, ragionando a livello globale su un’industria della moda che rispetti le persone e l’ambiente, e che sia in grado di assumersi le proprie responsabilità in termini di ingiustizie a livello sociale e ambientale.
Quando acquistiamo un qualsiasi capo d’abbigliamento, non pensiamo mai al lungo viaggio che questo oggetto ha percorso. Un viaggio che comincia tra le mani di qualcuno, di una persona, di un padre o di una madre che spesso lavorano in condizioni non sicure e che percepiscono con tutta probabilità un salario davvero basso, ma non solo: secondo Ellen MacArthur Foundation, delle 300 milioni di lavoratrici nell’industria tessile, 1 su 3 è stata vittima di molestie sessuali negli ultimi 12 mesi.
Dietro ai vestiti che indossiamo c’è una forza lavoro invisibile, che non conosciamo, ma che deve essere considerata: “Non sappiamo più chi sono le persone che fanno i nostri vestiti, quindi è facile far finta di non vedere. Il risultato? Milioni di persone stanno soffrendo, perfino morendo”, spiega Carry Somers, co-fondatrice di Fashion Revolution, che proprio da questo presupposto chiede ai consumatori di porsi questa settimana una domanda: #whomadeyourclothes?
Fashion Revolution Week vuole, dunque, riconnettere i consumatori con i lavoratori, ponendo l’attenzione sulla necessità di migliorare e cambiare il modo in cui i vestiti vengono prodotti e acquistati, dimostrando che esistano alternative all’acquisto come il noleggio, lo scambio con gli altri o l’usato. Il focus è anche sull’aspetto ambientale, considerando che il settore della moda continua ad essere responsabile per oltre il 10% delle emissioni a livello globale, per 92 milioni di tonnellate di rifiuti che finiscono nelle discariche e del 20% dell’inquinamento dell’acqua.
Un primo passo per una presa di coscienza di ciò che significa acquistare un capo d’abbigliamento, verso un futuro più etico e sostenibile per l’industria della moda, che parte proprio da noi, dal consumatore: “Scegliere cosa acquistiamo può creare il mondo che vogliamo: ognuno di noi ha il potere di cambiare le cose per il meglio e ogni momento è buono per iniziare a farlo”, commenta Marina Spadafora, coordinatrice del Fashion Revolution Day in Italia.
Partecipa anche tu al cambiamento: dal 20 al 26 aprile, indossa un indumento al contrario, scatta una foto e postala sui social chiedendo al brand #whomadeyourclothes? e segui le iniziative della settimana su Fashion Revolution.
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