Ex – Storie di uomini dopo il calcio è un libro che si divora in un secondo; specialmente se vivi il calcio, come capita a me, ancora con gli occhi entusiasti del bambino e l’insensatezza di una febbre da cui non vuoi guarire. Edito da Baldini & Castoldi, racconta le storie di dieci calciatori – dal sempiterno felino Ballotta al flaco Flachi, l’eroe viola della Samp, passando dal provos Comandini, l’eroe del derby di Milano in cui il Milan vinse per 6 a 0 – e di quello che sono diventati una volta appese le scarpe al chiodo. Uomini, prima che pallonari.
Fra l’autore Matteo Cruccu e Milano c’è un legame fortissimo. Lo associo ai primi giorni che ho vissuto in questa città, più di dieci anni fa ormai, quando raccontava per il Corriere della Sera il mondo della notte e del rock’n’roll. Durante i giorni dell’ascesa al governo cittadino di Giuliano Pisapia, fu il cronista (sempre per il borghesissimo Corriere) della rivoluzione arancione, per cui si spese con una passione da lucido tifoso che andava ben oltre il compitino.
Per farmi raccontare meglio del libro, gli ho chiesto di portarmi laddove la sua esperienza come calciatore finì per lasciare spazio a quello che effettivamente era il suo talento (non certo calciare il pallone). Abbiamo preso la macchina, caricato con noi il videomaker Dugo e ci siamo diretti verso il Cimitero Maggiore, in zona Musocco, per cercare il campo del GS Certosa, filmando tutto. Trovarlo non è stato semplice: la storia rende ex anche i luoghi.
Dal video emerge un’arte del palleggio un po’ arrugginita. Che calciatore eri?
(Ride, Ndr) Ero brocco, il pulcino nero: pagavo il mio fare dittatoriale a scuola, dove primeggiavo, nel calcio, dove ero il più scarso. Era quasi una maniera masochistica di completare la mia formazione. Giocare, nonostante non mi desse le soddisfazioni che volevo, era una condizione imperativa, anche perché non avevamo molti altri passatempi.
Dopo esserci persi nel cercare il campo, mi sono perso nei racconti di com’era giocare a calcio a Musocco trent’anni fa. Eppure tu e Vincenzo non siete mai diventati campioni. Che ruolo ha la nostalgia nel calcio?
Non è nostalgia di un tempo perduto, è il riconoscere – nel mio caso amaramente – quanto quel mondo sparito abbia delle conseguenze. Il mio è un ragionamento più politico. Il fatto di aver rinunciato al calcio giovanile a Milano ha consegnato molti ragazzi al loro destino e segnato la fine di una certa interconnessione sociale fra le persone.
Eppure, in generale, c’è molta voglia di calcio vintage. Su Facebook è tutta una operazione nostalgia
Credo che dipenda dalla scomparsa dell’interscambiabilità: la maglia tatuata al petto sembra un po’ retorica, è quasi sparita del tutto. Del Piero o Totti li identifichi immediatamente con una squadra. Non avere più punti di riferimento spinge i tifosi a guardarsi indietro. D’altra parte se i capitani di Inter e Milan sono Icardi e Montolivo, quando qualche anno fa erano Zanetti e Maldini, qualcosa non va. Io non sono uno che dice “viva la perduta età dell’oro”: non è che ieri fosse meglio di oggi, gli scandali per esempio sono una costante. Il tifoso però non rimpiange una bontà perduta ma l’appartenenza. Il calcio basa tutto sul rapporto fra tifoso e squadra.
Sei andato a conoscere dieci calciatori cercandone il lato umano, la storia una volta finita la carriera calcistica professionistica. Chi ti ha colpito di più?
La cosa che mi ha più colpito sono le storie delle perdite familiari. Dimensioni che abbiamo vissuto tutti, chi più chi meno, ma applicata ai calciatori – che ci sembrano superuomini che non affrontano il quotidiano come noi – la scomparsa di una persona fondamentale come tua moglie o tuo figlio è l’umanizzazione estrema. Sono le storie di Moreno Torricelli e Diego Fuser, che hanno reagito in maniera opposta al lutto.
La storia di Diego Fuser – ex giocatore di Lazio, Torino, Milan, Parma e Roma – è fra le più toccanti. In particolare quando ricami l’amicizia con Gigi Lentini, ex ala di Toro e Milan. La scena di Fuser che torna a giocare dopo aver perso il figlio e si sente di nuovo bambino è per me il senso del calcio. Non perdere quell’incanto: rimanere fanciulli, continuare a giocare
Non conosco bene Lentini, con cui ho avuto un incontro breve e un diniego sprezzante. Ho conosciuto bene invece Diego Fuser, una persona di un candore estremo. Un bambino adulto. Entrambi piemontesi, mi sono “divertito” a immaginarmeli come due personaggi deamicisiani, anche forzando un po’. È come se Diego tornasse nel liquido amniotico. La perdita di un figlio è forse la cosa più brutta al mondo, l’anestetica del pallone è straordinaria.
Il capellone Comandini che molla il calcio per girare il mondo con lo zaino e Osvaldo Bagnoli, leggendario allenatore del Verona dello Scudetto, socialista e figlio di operai della Bovisa: chi fra questi ex ti assomiglia di più?
Con Bagnoli c’è una evidente questione generazionale: potrebbe assomigliare a qualche mio zio. Comandini è uno di noi. Condivide con me posti frequentati, concerti e idee politiche. Non ne conosco altri così, in Italia. L’ultimo calciatore a non lisciarsi i giornalisti e ad amare i Clash. A fuggire dal ritiro per andare al Rolling Stone o al Rainbow. Quando l’ho approcciato mi disse “a me frega niente di commentare gli ultimi fatti del Milan, sono uscito da quella roba lì”. Non voleva rimanere nella classica posa televisiva dell’ex. Credo sia l’unico amico che avrei potuto avere nel calcio.
Hai seguito la nazionale ai disastrosi Mondiali 2014, la seguirai agli Europei della prossima estate. Come sta il sistema calcio Italia?
Guarda i vertici: inguardabili. In politica si è arrivati alla terza repubblica, al calcio siamo ancora alla prima. Dal punto di vista sportivo, la rosa non mi sembra competitiva. A parte gli anziani (anche Chiellini, difensore trentenne della Juventus, è ormai anziano) non mi sembra ci siano grandi giocatori in giro.
Per chiudere questo cerchio fra calcio, musica e politica, l’ultimo ex di cui vorrei parlare è l’ormai ex Sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Ne hai raccontato l’ascesa, come racconti la fine del mandato?
Pisapia ha pagato quello che è stato il suo plus, cioè non far parte di una cordata. Questo è servito nel momento in cui c’era la stanca dei politicanti, ma la dinamica dei partiti l’ha infine schiacciato. Sala, il prossimo candidato del PD alle elezioni a Sindaco di Milano, è una vittoria di Renzi, che ha imposto il suo modello nazionale su una scala locale. La cosa bella di questa giunta è il suo percorso di costruzione dal basso, modo in cui la politica si è ripresa la città: se cosa buona o cattiva questo lo dirà il tempo. Quello che so è che la città oggi è migliore di cinque anni fa. Le cose non accadono a caso, ma qualcuno le fa accadere.
A questo punto aspettiamo il prossimo libro. Ex Sindaci.
(Ride, Ndr) È difficile diventare ex della politica. Pisapia non ha ambizioni nazionali, ha messo avanti se stesso rispetto alla sua immagine pubblica. È raro che un sindaco non si ricandidi al secondo mandato. Pisapia è come Osvaldo Bagnoli, figlio di operai della Bovisa, che decide da sé quando andare in pensione. Non è stato costretto ad andare all’angolo, ha scelto.