Era il 1998, ero in vacanza-studio in Inghilterra e nel mio gruppo c’era un terzetto di ragazze brianzole che andava in giro con il colletto della polo alzato. Sempre, come fosse la divisa di qualche stupida confraternita. Ai tempi non lo sapevo, ma ero in contatto con delle avanguardie, delle vere e proprie trendsetter. Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 ci fu un’invasione. Era solo l’inizio, negli anni successivi si sarebbe creata una vera e propria categoria: quella formata da uomini e donne che sfoggiano con grande orgoglio capi di abbigliamento orrendi, indossati solo perché sono quelli di tendenza in un determinato periodo.
Contro ogni logica, contro ogni estetica. Questa è una umilissima retrospettiva.
– Le magliette Guru
Un fiore piuttosto stilizzato su una maglia tinta unita indossata da un paio di calciatori. Da un giorno all’altro, le magliette Guru furono dappertutto, spesso accompagnate a pinocchietti bianchi davvero importanti. Centinaia di migliaia di capi all’anno, punti vendita monomarca in tutto il mondo. Poi il crollo, improvviso, con tanto di arresto per bancarotta fraudolenta del fondatore Matteo Cambi.
– Le Crocs
“Io le trovo comodissime, da me le usano tutti”, così dice un mio amico che fa IL MEDICO IN OSPEDALE. Sì, perché questi zoccoli di plasticona non hanno ragione di esistere, se non fuori da ogni possibile ragionamento che preveda l’utilizzo non tanto del termine “bello”, ma almeno “decente”. Nelle estati 2006/2007 vennero abbracciati anche da tanti fan delle Birkenstock, che nel giro di un paio d’anni sarebbero tornati contriti alla teutonica disciplina dei loro sandali di sempre. Con un po’ di vergogna.
– La scarpa con le 5 dita
Lavoravo in un posto assurdo, pieno di gente pronta a conquistare il mondo, ma che entrava in difficoltà già a comporre il numero per ordinare il sushi a domicilio. In questo ambiente senza senso, un giorno uno dei direttori creativi arrivò sfoggiando la scarpa di plastica con le cinque dita separate. Prerogativa dell’ambiente creativo-pubblicitario, si tratta di uno dei momenti di maggiore involuzione del gusto dell’essere umano, paragonabile solo alla scelta volontaria di bere un caffè con il sale.
– La felpa con la scritta FI-AT
Erano i giorni in cui Lapo Elkann era considerato un grande esempio del genio italico, uno che avrebbe rivoltato tutto il mondo della moda e della creatività. Dalla sua mente uscì la felpa con la scritta divisa a metà sul petto. Tutto iniziò con FI-AT, poi arrivò ITA-LIA e poi via via di città in città, di quartiere in quartiere, con la precisa volontà di rivendicare un’appartenenza geografica attraverso il cattivo gusto. Non è un caso che in queste settimane siano diventate simbolo della campagna elettorale di quel fine intellettuale e sommo esteta di Matteo Salvini.
– Il monopattino
Strettissimo parente delle scarpe con le dita, è un simbolo amato dai creativi che vogliono far capire al mondo quanto sono strambi e geniali. O forse è solo il riscatto di persone che avrebbero voluto usarlo quando erano alle medie, ma non hanno potuto perché sarebbero state prese per il culo per un intero quadrimestre.
– Le Hogan
Se qualche anno fa aveste detto a qualcuno che un giorno sarebbero andate di moda le scarpe ortopediche, vi avrebbe considerato un cretino. E invece sarebbe bastato così poco, sarebbe bastato appiccicare sopra una H sbarluccicante e tutta la borghesia italiana medio-alta (o aspirante tale) sarebbe stata conquistata per sempre.
– Mp3, la moto con tre ruote
Andare su scooter e scooteroni senza marce è come andare in bicicletta, ma senza pedalare. Ovvero: chiunque può farlo non serve essere degli equilibristi o dei virtuosi del mezzo. La terza ruota serviva solo a cercare di conquistare una precisa fetta di mercato: quella di chi è convinto che con la scarpa a cinque dita si senta meglio il contatto con la madre Terra.