Nel 2010 mi capitò di finire a qualche Festa della Lega: una in particolare la ricordo nitidamente, a Verdello, in provincia di Bergamo e c’era Umberto Bossi. Quest’anno invece ho voluto fare un salto alla cena di Natale con Matteo Salvini, svoltasi a San Genesio e Uniti, in provincia di Pavia, il 29 novembre scorso. Ed è stato abbastanza impressionante.
Ne succedono di cose in cinque anni: il 2010 è l’anno in cui si comincia a parlare di Wikileaks, in cui muore Mario Monicelli, in cui muove i primi passi la Primavera Araba, in cui la Spagna vince i mondiali in Sud Africa, e in cui Umberto Bossi è ancora segretario e fondatore della Lega Nord. Matteo Salvini al tempo è un europarlamentare.
Nel 2010 per Bossi gli scandali del figlio Renzo, i diamanti di Belsito, con l’avvicinarsi del crepuscolo verde per una certa Lega Nord, sono ancora lontanissimi, si vive ancora su di giri, di “cerchio magico” non si parla, e si può dare dello stronzo a Casini e vedere i titoli dei quotidiani il giorno dopo o attaccare frontalmente Gianfranco Fini. Funziona tutto, ma scricchiola. In quel 2010, il 2013 in cui Salvini diventerà segretario federale della Lega Nord, dopo aver sconfitto Bossi alle primarie leghiste con 8162 voti, l’82% delle preferenze, appare folle.
Eppure accadrà, accadrà tutto. Accadrà che la Lega Nord scompaia dai radar per qualche tempo, per poi ritornarci di prepotenza. Il momento del ritorno è ormai di un paio di anni fa, ma il periodo precedente è stato una traversata nel deserto in cui il più vecchio partito presente in Parlamento ha cambiato pelle.
Il cambiamento politico più importante della Lega Nord, dall’epoca Bossi all’epoca Salvini è lo spostamento a destra, insieme all’allargare gli orizzonti, da semplicemente settentrionali a nazionali: e se un tempo la Lega era un partito xenofobo e secessionista, ora è venuta a patti con la realtà, diventando semplicemente un partito xenofobo e di estrema destra. Più che che la mutazione politica – dove tutto è lecito pur di prendere mezzo voto in più – per me vale la pena di spendere due parole su quanto ai miei occhi siano cambiate le persone della Lega Nord, i suoi attivisti, i suoi elettori.
Perché la mutazione “umana” della Lega Nord che ho visto, in questi cinque anni, passando da Verdello a San Genesio e Uniti, è stata incredibile. Il pubblico: se nel 2010 ricordo una platea più che ruspante, visibilmente venuta in adorazione del leader carismatico, quello che invece colpisce della cena in cui vago tra piatti di polenta e vino brandizzato Matteo Salvini è sì il calore ruspante del popolo leghista, ma anche la sua nuova estetica. Meno canottara, meno grembiule unto, meno celodurista: è un popolo leghista molto diverso, in cinque anni si è completamente rifatto il trucco. E bisogna ammetterlo: gli sta bene.
Certo, qualcuno potrà obiettare che anche la provincia di Pavia e quella di Bergamo non sono esattamente la stessa cosa, eppure distano solo 68 km: non 680, per andare da Verdello a San Genesio in macchina impiegheremmo neanche un’ora.
E in fondo la provincia è la provincia: e non lo so con certezza, ma sono pronto a scommettere che a Verdello, proprio come a San Genesio e Uniti le bianche strisce pedonali sono circondate di color verde Padania, così come il rivestimento delle piste ciclabili è verdissimo. Non rossiccio come vediamo a Milano.
A Verdello ricordo due dettagli che mi avevano impressionato, che davano l’idea del valore mistico che veniva dato al contatto con il leader carismatico originale. Una ragazza incinta da un bel po’ di mesi che si faceva accarezzare la pancia da Umberto Bossi, e una piccola processione di genitori con figli disabili, in carrozzina, che cercavano un saluto a un contatto fisico con il Senatur, anche fosse solo una foto.
Scene da culto pagano, più che padano: una forma di religiosità primitiva che produceva scene umanissime, strazianti, grottesche, ma in fondo comprensibili, perché la venerazione degli idoli fa parte della storia dell’uomo, e a riguardo non ci siamo evoluti granché negli ultimi duemila anni. Il 29 novembre scorso invece, a San Genesio e Uniti, la coda per Salvini, per una stretta di mano e una foto con il leader, era ovviamente popolata da militanti: ma infinitamente meno adoranti rispetto all’epoca Bossi. Non era adorazione, era simpatia, e un po’ sex appeal.
In provincia di Pavia erano in gran parte donne a mettersi in coda per un selfie un Salvini, e il sex appeal del nuovo leader deve funzionare parecchio nell’elettorato femminile leghista, malgrado noi si sia ancora a sorridere sulla copertina di Oggi.
A San Genesio e Uniti, il 29 novembre scorso, mancava completamente quell’alone salvifico, religioso, che ricordo a Verdello, dove ci si spintonava per sfiorare il già anziano e affaticato leader fondatore.
Alla venerazione del 2010, oggi, 2015, si è sostituito lo smartphone, e il selfie con il Matteo giusto, almeno se si vota mettendo una croce sul simbolo con Alberto da Giussano. L’unica cosa rimasta identica è il nemico: uno esterno, l’immigrato, e uno interno, nel 2010 Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, mentre oggi Angelino Alfano.