Potessimo incontrare noi stessi a vent’anni, cosa avremmo da dirci? Questa rubrica Ivan Carozzi l’ha chiamata “lo sport estremo dell’autoanalisi” e come definizione ci piace moltissimo: “Avessi vent’anni” esce ogni venerdì. Qui ci sono tutte le puntate precedenti.
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Il 23 settembre del 2002 compivo vent’anni. Era stato un anno bello: la maturità passata, finito il liceo, e dopo la maturità la più bella vacanza della mia vita, a Ios, in Grecia: ma certo che sì! Milanesi teenager che finiscono il liceo e vanno in vacanza in Grecia: il cliché, di uno stereotipo, di un cliché.
Stereotipo al tempo neoproletario, s’intende: perché la #riccanza teen di allora andava con almeno due barche a vela a Koufonissi, nelle piccole Cicladi, altro che al campeggio bordello del Far-Out a Ios. In ogni caso quella fu una vacanza memorabile, piena di sesso occasionale e cose stupide che rifarei ancora: e a 19 anni non c’è niente di più importante. Ero anche magro, cosa che non sono più ora: sempre in Grecia conobbi una ragazza di cui mi ero un po’ innamorato, Francesca, fonte di atroci struggimenti per l’inverno 2002/2003. Studiava a Bologna, era intelligente, simpatica, bellissima, di conseguenza ingestibile.
Nel 2002 stavo per iniziare l’università, quindi il periodo più bello della mia vita, i miei genitori lavoravano entrambi – ma erano entrambi rilassati e prossimi alla pensione – vivevamo a Milano nord in un palazzo rossiccio con vista Milano – Meda, in un appartamento dove ora stanno molti cinesi.
Era il 2002, quindi più o meno 15 anni fa.
Amo le liste, per cui dovessi fare un elenco di quel che mi direi nel 2002, lo svilupperei in un pratico elenco puntato
Nelle puntate precedenti
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