Ogni giorno dai banchi di scuola di tutta Italia spuntano video ripresi con gli smartphone di alunni che bullizzano i professori. L’ultimo in ordine di tempo riguarda un Itc di Lucca in cui un alunno chiede al professore di inginocchiarsi e di cambiargli il voto per far vedere chi comanda, ma è uno tra i tanti.
I professori sono sempre più spesso vittime di aggressioni da parte degli alunni e dei genitori, tanto che alcuni hanno chiesto direttamente al Presidente Mattarella pene più severe per i bulli, adulti o adolescenti che siano. Citiamo dalla raccolta firme nata sulla piattaforma Change.org: “È sconvolgente pensare che un genitore possa entrare in una scuola e compiere atti simili o che uno studente si possa permettere di picchiare da solo o in gruppo un docente. Sono fatti che evidenziano quanto sia profondamente mutato il rapporto di fiducia tra scuola e famiglia, che interrompono bruscamente quel patto di corresponsabilità educativa e che vanno condannati con forza”.
Gli insegnanti chiedono anche trattamenti più umani per gli insegnati, bistrattati dalle istituzioni dal punto di vista economico, giuridico e sociale.
Sui social il dibattito impazza e l’ondata di giustizialismo tipica degli utenti di Facebook ha mille destinatari: la politica, i genitori, la società, i telefonini, i media, il progresso e tutto il resto. Prendiamo un punto alla volta e cerchiamo di capire qual è il motivo scatenante di quest’ondata di violenza ai danni dei professori, spesso impunita.
Innanzitutto chiariamo un concetto: forse ce ne sono di più oggi, ma gli alunni bulli nei confronti dei professori inermi ci sono sempre stati, anche nell’era pre smartphone, quando ciò che accadeva in classe rimaneva in classe. Quello che cambiava casomai era l’attitudine del genitore quando veniva chiamato dal preside che gli comunicava la sospensione del figlio, oggi troppo spesso propenso a difenderne il comportamento nonostante le evidenze, screditando così il ruolo istituzionale del professore.
Il genitore tuttavia è un bersaglio troppo facile da incolpare: se in passato la mancanza di dialogo e le punizioni corporali erano la piaga da debellare, oggi la situazione si è ribaltata e se un genitore sgrida con troppa veemenza o una tantum fa partire un ceffone al figlio incontrollabile, potrebbe doversela vedere con gli assistenti sociali, gli psicologi e eventualmente anche con le forze dell’ordine. Il dialogo instaurato, spesso non è sufficiente per capire il mondo interiore degli adolescenti, del tutto celato alla vista degli adulti.
Con uno sforzo di memoria riusciamo a ricordare quanto non fossimo inclini per niente a parlare dei nostri segreti in famiglia ai tempi delle scuole medie o superiori, di quanto il nostro rapporto coi genitori spesso sia stato recuperato dai 25 anni in poi, quando abbiamo iniziato a capire cosa significhi essere adulti e dover educare, dialogare, divertire mentre si deve anche lavorare, tenere in vita le relazioni, stare al passo coi tempi per capirne la mutevolezza rapidissima. Troppo facile dare il malloppo di colpa a loro, tantissimi ce la fanno perché sono più aperti dei loro predecessori di 30 o 40 anni fa, senza neanche dei corsi di formazione a cui accedere.
La politica degli ultimi trent’anni è riuscita a demolire il sistema scolastico dall’interno, rendendo i professori precari, inadeguati, assolutamente in balia del bullismo dei loro alunni, di fronte al quale preferiscono spesso chiudere un occhio piuttosto che denunciare e passare dei guai. Le strutture fatiscenti, i programmi che non insegnano la contemporaneità e le politiche scolastiche per cui meglio passare un alunno asino che ritrovarselo un altro anno a scuola fanno il resto.
Parlando di nuove tecnologie e smartphone, il problema si complica. L’iperconnessione a cui siamo soggetti ci porta giornalmente a parlare e a condividere esperienze con sconosciuti in tutto il mondo. Quando questi mezzi vengono usati da persone a cui mancano gli strumenti per capirli fino in fondo, si crea il caos. Questo però non riguarda solo gli adolescenti, pensate ai sessantenni che su Facebook che auguravano lo stupro alla Boldrini e una volta scoperti pensavano fosse legittimo, una cosa da niente, una ragazzata.
Il problema naturalmente non è il mezzo ma l’uso che se ne fa: su internet vanno a braccetto informazione, bufala, intrattenimento e pornografia, di qualunque tipo. Se pensate sia facile per un genitore tenere sotto controllo lo smartphone del figlio, non sapete quanto questi ultimi siano geni della tecnologia e conoscano ogni funzione del proprio apparecchio per nascondere o rendere invisibili alcuni contenuti a persone esterne.
Durante l’adolescenza i ragazzi sono soggetti a processi di emulazione e la diffusione di video di bullismo o di violenza spesso forma il pensiero “Se lo fanno significa che lo posso fare anch’io”. Indietro non si torna, quindi sarebbe molto importante regolamentare l’uso di certi apparecchi e certe app a seconda dell’età degli utenti, non con un semplice “Se non hai 18 anni esci di qui” in sovraimpressione ma con controlli più rigidi.
In questi tempi difficili la colpa è un concorso di colpe che ha come comune denominatore il mancato aggiornamento. Chi resta indietro soccombe, si tratti di adolescenti, genitori, insegnanti o politici. I comportamenti sono gli stessi di anni fa, ma sono amplificati dai mezzi a disposizione e non è con la censura o con l’applicazione del rigore marziale che si risolve la situazione. Stare al passo coi tempi, aggiornarsi significa trovare il canale per comunicare con gli adolescenti, per conoscere il loro mondo fatto di successi ma soprattutto di disagi, paure e drammi.
L’aggiornamento senza nuove regole però rischia di essere inutile e questi tempi le richiedono. Ecco cosa vi consigliamo di leggere sui programmi dei partiti politici prima delle nuove elezioni: le proposte su scuola, cultura ed educazione (lavoro e sanità, ma quella è un’altra storia), prima di sparare a zero su sedicenti invasioni dall’Africa e lasciarsi distrarre da promesse elettorali che puzzano di pubblicità dei materassi su TeleNorba. Non è impossibile, ma ci vuole impegno da tutte le parti in causa.