Society
di Simone Stefanini 20 Ottobre 2016

Ecco come l’obiezione di coscienza rende quasi impossibile l’aborto in alcune regioni d’Italia

In Molise, ad esempio, il 93,3% dei ginecologi è obiettore di coscienza e 21.000 donne all’anno devono andarsene da casa per abortire

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Un caso di cronaca riporta in primo piano la problematica legata ai medici obiettori di coscienza in Italia. Valentina Milluzzo, 32 anni, è morta ieri all’ospedale Cannizzaro di Catania dopo che la sua gravidanza gemellare è andata incontro a delle complicazioni, che hanno causato l’aborto spontaneo dei due feti: come riportato da Il Corriere della Sera, di fronte alla necessità di asportare i feti per salvare la madre, il medico ginecologo si sarebbe dichiarato obiettore di coscienza e avrebbe detto, a proposito del feto, “Fino a che è vivo non intervengo”.

La procura sta indagando per accertare eventuali responsabilità, quindi da questo punto di vista non è ancora possibile pronunciarsi in maniera definitiva. Quel che è certo, però, è che il professor Paolo Scollo, primario del reparto e presidente della Società Italiana di ostetricia e ginecologia, ha affermato che nel suo reparto i medici sono tutti obiettori e quando è il caso di far abortire, si devono chiamare specialisti esterni. Possibile?

 

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Possibile, visto che, come riporta un articolo de La Stampa, firmato da Valentina Arcovio, secondo una relazione del Ministero della Salute, nel nostro paese ben 7 ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici. 7 su 10.

Non è tutto, in Italia 21.000 donne emigrano dalla loro regione per abortire, a causa dell’alto numero di obiettori di coscienza. Nel Molise il 93,3% dei ginecologi fa obiezione di coscienza, il 92,9% nella Provincia Autonoma di Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. La percentuale è alta anche al nord. In Lombardia arriviamo al 63,60% e in Piemonte al 67,40%. Fortunatamente ci sono anche regioni con percentuali più basse, come il 51,80 dell’Emilia Romagna o il 56% della Toscana, come mostrato da questa mappa realizzata sempre da La Stampa.

Il Consiglio d’Europa, nell’aprile di quest’anno ha condannato l’Italia per le difficoltà che le donne incontrano nel far ricorso alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Nelle regioni col maggior numero di obiettori, i pochi medici non obiettori sono costretti a lavorare senza sosta e a fare solo quel tipo di intervento. Secondo questi dati, in Molise un medico non obiettore deve compiere circa 250 interventi l’anno.

Viene spontaneo chiedersi come funzionano le cose in Europa: in Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo di dare il servizio d’interruzione di gravidanza, in Inghilterra solo il 10% dei medici è obiettore, in Svezia il diritto di obiezione di coscienza non esiste proprio.

Sapete cosa succede agli specializzandi svedesi che non se la sentano eticamente di praticare un aborto? Semplice: vengono indirizzati verso altre specializzazioni.

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In Italia, l’interruzione di gravidanza è stata consentita e regolamentata per legge nel 1978. Prima di quella data costituiva reato penale con reclusione da due a cinque anni sia del medico, sia della donna che aveva abortito.

È anacronistico e assolutamente criminale che la lotta di secoli per un diritto civile venga vanificata da un’applicazione sregolata del diritto all’obiezione di coscienza  e che nel 2016, in caso di bisogno, un medico possa scegliere di non intervenire per andare incontro alla propria morale o alla propria religione.

Gli ospedali hanno bisogno di medici, non di preti e di certo, una persona non può morire per il rifiuto di un medico.

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