Succede a cadenza periodica, ogni tot di anni. Ti svegli una mattina e scopri che forse Facebook non sarà più il social network al quale destinare il surrogato digitale delle nostre vite. Il fatto che lo venga a sapere magari scorrendo il tuo newsfeed FB non fa che rendere ancora più avvincente il bug.
Negli ultimi otto anni, da quando Facebook cioè è entrato in pianta stabile anche nella vita dei cittadini europei, abbiamo assistito all’ingresso trionfale sul mercato di diversi social network pronti a soppiantare il modello creato da Mark Zuckeberg. Tutti quanti carichi di hype e tutti quanti, irrimediabilmente, destinati all’oblio dopo qualche mese.
“È terribilmente difficile metter su un social network con caratteristiche migliori di Facebook, specialmente quando la caratteristica che veramente importa alla gente, in un social network, è che tutti i suoi amici siano iscritti“, sosteneva qualche tempo fa Will Oresmus in un articolo su Slate. Non si può certo dissentire, soprattutto partendo dall’assunto base che un prodotto che non mette in campo nessun elemento concreto di innovazione, difficilmente svolgerà una funzione utile per gli utenti.
È proprio questo il problema principale di tutti quelli che ci provano. Nessuno di loro finora sembra essere stato capace di proporre un nuovo modello per le interazioni sociali online veramente efficace, limitandosi a “non essere” come Facebook, sotto certi aspetti, senza “essere” un bel nulla. Qui trovate cinque esempi di social network che negli ultimi anni si sono messi in gioco sperando di farcela, salvo poi fallire mestamente l’obiettivo della loro missione uscendo in punta di piedi dal centro dei riflettori.
Diaspora
Nato dopo che quattro studenti della New York University avevano assistito a una lezione sulla privacy su internet, l’idea che stava alla base di Diaspora era quella di un social network decentralizzato e autogestito dagli utenti. Ognuno in pratica poteva gestire il proprio seed e collegarsi con gli altri utenti senza passare da un server centrale. Più libertà, massimo controllo sui propri dati personali e nessuna censura. Il progetto attirò l’attenzione di investitori ed esperti, e anche di Google, che si sostiene ne ricalcò in parte il modello per costruire Google+. Dopo il lancio nel 2010 iniziarono però i primi problemi di sicurezza e una tragedia privata colpì la neonata società (uno dei fondatori morì suicida). Diaspora funziona ancora oggi, ma più che un social network ha l’aspetto di una città fantasma.
Ello
Lanciato nel marzo 2014, Ello si presentava come simple, beautiful e ad-free. Caratterizzato da una grafica elegante e minimale, uno dei punti di forza era proprio il fatto che non vendesse i dati dei propri utenti agli inserzionisti, in un periodo in cui Facebook, al contrario, andava giù duro con la pubblicità. Il numero di richieste ricevute (circa 40mila all’ora) fece in un primo momento addirittura collassare i server. L’idea era quella di radunare una community selezionata, fatta perlopiù di artisti e creativi. Calato l’hype, ha finito per diventare proprio appannaggio di una nicchia di persone, un posto pulito ed educato in cui la gente condivide i propri lavori riuscendo ad ottenere dei feedback concreti e degli scambi. Un obiettivo importante, ben diverso però da chi vedeva nell’entusiasmo iniziale la tomba di Facebook
Peach
Venuto fuori agli inizi di quest’anno, anche Peach si è ritrovato presto l’etichetta di social network in grado di salvarci dall’egemonia di Facebook. Sviluppato da Dom Hoffman, cofondatore di Vine, è disponibile solo sotto forma di app e si presenta come una specie di Twitter su cui è possibile condividere, senza limitazioni di caratteri, status, foto e informazioni private, dalla normale localizzazione gps alla percentuale di batteria rimasta nel telefono. Non esiste una timeline e per vedere i post pubblicati dagli amici bisogna fare avanti e indietro dai singoli profili. Insomma, non si sforza di aggiungere nulla di nuovo alla grammatica della comunicazione social e dopo un mese dal suo lancio c’era già chi ne celebrava il funerale.
Foursquare
Foursquare è stato il primo social interamente costruito intorno all’idea di geolocalizzazione. Oltre a condividere la propria posizione e le proprie attività, ci si poteva scambiare feedback e consigli su determinati luoghi (bar, ristoranti, etc.) un po’ come su un Trip Advisor più smart. C’era anche una componente giocosa, si potevano vincere delle ricompense e diventare anche virtualmente sindaci di un posto. Col tempo si è sdoppiato in due diverse app, e ha finito per perdere gradualmente l’appeal che per un certo periodo lo aveva investito.
AppleKiss
Ciliegina sulla torta non poteva che essere AppleKiss, il social network italiano lanciato con la benedizione del “guru digitale” Francesco Facchinetti. Una piattaforma che mette al proprio centro l’idea di storytelling: chiunque si iscriva ad AppleKiss ha a disposizione un blog personale su cui può scrivere dei testi di lunghezza libera, a cui gli utenti possono rispondere inviando dei kiss. In pratica un’idea primordiale su internet, come quella del blog, riciclata alla bell’e meglio su una nuova piattaforma dal dubbio gusto estetico. Se non si è capito, hanno veramente vinto loro.