Social Network
di Marco Villa 6 Settembre 2017

Humans of New York: la prima serie di Facebook è terribile

I primi due minuti della serie contengono più lezioni di vita di tutta la bibliografia di Paulo Coelho

Partiamo da un fatto: l’ingresso di Facebook nel mondo della produzione di contenuti originali è un momento importante. Innanzitutto perché siamo di fronte a un investitore con un budget potenzialmente senza paragoni e poi perché si tratta della prima volta in cui il social network produce qualcosa invece di delegare agli iscritti la parte creativa. Due motivazioni non da poco, che hanno stuzzicato l’attenzione del mondo dei media e che avranno senz’altro un impatto importante negli anni a venire.

La partenza di Facebook in questo campo, però, è tutt’altro che buona. Come annunciato tempo fa, il primo titolo proposto dal social di Mark Zuckerberg sulla piattaforma Watch è la serie di Humans of New York, progetto fotografico più che famoso, che da anni mostra foto di abitanti di New York, accompagnando l’immagine con la loro storia o offrendo la possibilità di lasciare un pensiero. Il tutto senza mai dire nome o cognome del protagonista, senza indicarne la professione o la posizione sociale: conta il messaggio, il resto va dedotto dalla foto, dal linguaggio e dal pensiero stesso. Un progetto semplice e di successo, grazie anche a un formato perfetto per il social network.

Da questo punto di vista, è apparsa altrettanto perfetta la scelta di Facebook di passare dall’immagine statica a quella in movimento, facendo di Humans of New York la sua prima serie originale. Le puntate sono tematiche, vengono pubblicate ogni martedì e le prime due sono dedicate al tempo e allo spettacolo, intesi rispettivamente come riflessioni sullo scorrere degli anni e storie di persone che a vario titolo possono essere definite “star”.

Due puntate, senza girarci troppo intorno, semplicemente terribili. Il problema di fondo è che non c’è differenza tra la versione fotografica e quella video: le storie vengono proposte una dopo l’altra, senza alcuna costruzione narrativa, ma solo con una giustapposizione di personaggi differenti. Ovvero: racconto tutto del soggetto A, poi passo al soggetto B e così via, senza far crescere la storia con un montaggio alternato che proponga un personaggio, passi ad altri e ritorni poi al primo. Non certo un’idea rivoluzionaria, ma in grado di evitare che le puntate si trasformino in tante mini-lezioni di vita.

Perché qui arriva il secondo problema: pubblicare una foto o entrarci in contatto attraverso i social è un’esperienza che dura pochi secondi e che tendenzialmente si verifica in vari giorni distaccati tra loro. Assistere a una parata di venti minuti invece è come aprire una confezione intera di biscotti della fortuna con relativi bigliettini: i primi due minuti della serie, la prima storia in assoluto che viene mostrata, supera di slancio il best of degli aforismi di Paulo Coelho in quanto a numero di frasi ispirazionali che contiene. 

Humans of New York ha sempre avuto questa tendenza, ma nel formato foto + didascalia riusciva a evitare la deriva. Decidere di tenere tutto immutato nel passaggio al formato video è senz’altro segno di coerenza, ma il risultato non paga e a essere penalizzati sono proprio gli umani di New York, con cui non si riesce mai a empatizzare.. A rimanere inalterata, invece, è la bellezza di New York sullo sfondo: quella non stanca mai.

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