La cultura del meme, del sarcasmo oltre ogni livello, ogni tanto deborda e ci porta ad alcune riflessioni sulla sua utilità. Il caso del fumettista Labadessa, che ha scritto sul suo profilo personale di Facebook (seguito da più di 20mila persone) un post che apparentemente simula una fantasia di stupro, si è preso una shitstorm, ha cancellato il post e poi si è scusato asserendo che lui non stuprerebbe mai, quindi sono stati i lettori ad aver frainteso, la dice lunga sullo stato di salute del politicamente scorretto.
Chi ha vissuto il passaggio di consegne tra l’era analogica e quella digitale, sa bene che il politicamente scorretto in passato è stato un mezzo culturale per combattere la censura, il pensiero bigotto, per scardinare i paletti imposti dalla società, grazie a una forte componente culturale dei fruitori e degli autori, che portava il mezzo a essere rivoluzionario. Riviste come Il Male, Cuore, fumetti come RanXerox o Zanardi, trasmissioni televisive come Avanzi o Tunnel, negli anni pre social hanno fornito una valvola di sfogo e un mezzo di comunicazione assai potente per poter veicolare idee diverse da quelle della morale comune.
Coi social, lo sapete anche voi com’è andata: le pagine di meme hanno più fan di quelle delle rockstar e l’asticella del politicamente scorretto si alza ogni volta di più. Purtroppo, la base culturale per la comprensione del testo o dell’immagine a volte latita, e ci troviamo a fronteggiare un esercito di (non solo) giovanissimi, fieri di difendere il loro diritto a ridere di stupro, guerra, disabilità, razzismo, omosessualità, violenza, asserendo che niente è intoccabile e chi pensa il contrario è da ritenersi censore, inquisitore, moderno Torquemada.
Potremmo essere d’accordo solo a un patto: che si abbia una base culturale ed emotiva tale da capire ed empatizzare con le vittime di stupro, con le persone bullizzate perché omosessuali o di etnia diversa, con le persone affette da disabilità, con chi rischia la vita sotto i bombardamenti o beve l’acqua marrone del fiume perché non ha altro. Sembra un discorso ciellino? Forse, ma oggi più che mai risulta doveroso chiarire che senza informazione, senza cultura, senza fatti concreti a supporto delle prime due, il diritto a ridere di tutto potrebbe non essere così inalienabile.
È evidente che i meme abbiano aiutato (e continuino ad aiutare, vedi articolo del Financial Times) l’ascesa negli Stati Uniti dell’alt-right, la destra alternativa al conservatorismo, che promuove la supremazia bianca, il maschilismo, l’islamofobia e il populismo di destra. Quell’iperbole che per anni è stata al servizio delle istanze progressiste, svuotata dei suoi contenuti, è diventata una pericolosa arma antisociale e anticulturale.
Il Re è nudo: il disegno di una rana nazista che dice battute o una foto dell’olocausto con una frase satirica sotto, svuotate dell’empatia per una tragedia, tornano ad essere messaggi razzisti proprio come sembrano. Riderne e condividerli, porta gli utenti a essere attivisti che fanno propaganda politica senza neanche rendersene conto.
La storia di Labadessa è un pretesto, sia chiaro, ma se non si capisce come tirare il freno, è inutile guidare una Porsche.