Ho perso una scommessa e ho dovuto cambiare per 24 ore la mia foto profilo. Alzi la mano chi, in questi giorni, non ha letto almeno una volta questo status su Facebook, condiviso da un contatto che non ha dato la risposta giusta a un indovinello e quindi ha pagato pegno in questo modo. L’indovinello è di quelli antipatici che fanno i bambini delle elementari con fare saccentello, ma non è questo il punto.
Il punto è che si tratta dell’ennesima moda passeggera di Facebook, di quella “cosa” che faranno tantissime persone per un tempo limitato. È in fondo il concetto stesso di virale, applicato non a un contenuto chiuso, ma a un meccanismo che richiede un piccolo sforzo in più di interazione. Sono piccole mode passeggere, che per fortuna svaniscono nell’arco di pochi giorni, ma che in quei giorni sanno essere talmente invasive da sembrare qualcosa di impossibile da eradicare.
Quella dell’indovinello è solo l’ultimo dei fenomeni momentanei di Facebook. Vi ricordate il periodo in cui tutti pubblicavano i fumetti di BitStrip? Per qualche giorno bacheche invase da strisce di fumetti con personaggi macrocefali che mettevano in scena momenti di vita quotidiana. Disegni brutti, per vignette brutte, perché ovviamente non era uno sceneggiatore Pixar a scriverle e realizzarle, ma Saverio, quel vostro compagno delle elementari che era dovuto andare a ripetizioni per capire l’utilizzo della lettera H.
Ricordiamoci poi di un altro grande momento della nostra vita social: il lancio di Periscope, il momento in cui il concetto di diretta live è stato sdoganato a tutti i comuni mortali. Provate a fare uno sforzo di memoria e vi verrà in mente quale fu il primo viralone legato a questa modalità: le dirette del frigo. Gente che in tutto il mondo apriva il proprio frigorifero e ne mostrava il contenuto. Una piccola moda che era in realtà una grande ammissione: non ho niente di interessante da dire o da mostrare, a parte la data di scadenza del latte parzialmente scremato.
Altro giro, altro video Dubsmash. Qui si sale un po’ di livello, perché comunque c’è un minimo di pensiero dietro l’app e il fenomeno. Il problema è che se Dubsmash lo usa la star di Hollywood ha un senso, idem se lo usa in generale un personaggio pubblico. Vedere tutti i propri contatti che rifanno la scena dello specchio di Taxi Driver, però, è un’altra cosa. E non dovrebbe essere difficile rendersene conto, ma anche in questo caso più del senso del contenuto, a vincere è la necessità di esserci, di infilarsi nel flusso.
Stesso discorso per Prisma, l’app che modifica le immagini secondo stili pittorici particolari oppure Masquerade, che offre filtri stile Snapchat a chi non ha voglia e forza di imparare il funzionamento del social network più insensato di sempre.
Tra le peggiori mode, però, ci sono quelle che non sono semplici divertimenti, ma puntano a un obiettivo più alto: la cultura. Poco importa che sia dimostrare la propria o buttarsi in una missione evangelizzatrice, l’importante è far capire che di solito non si partecipa a queste cosette, ma stavolta è tutto diverso. C’è il misurare la lunghezza, scusate l’ampiezza del proprio vocabolario, oppure il lanciare catene in cui si invitano amici a postare canzoni “così le bacheche si riempiono per una volta di buona musica”, oppure titoli di libri “così battiamo Fedez con un-buon-libro”.
Una storia lunga quanto Facebook, arrivata oggi in Italia all’indovinello del bimbo Gigi. Tranquilli: entro la settimana sparirà, la nuova moda passeggera è già all’orizzonte.