Dovesse mai capitarvi di avere a che fare 8 ore al giorno con Facebook, vi stupireste di quanta violenza venga fatta alla lingua italiana. Essa, poveretta, non può gridare né chiedere l’aiuto di due solerti carabinieri, ma a un orecchio attento, qualcosa potreste sentire.
È un po’ la storia dell’insalata che piange quando viene raccolta, ma lo fa su un’altra frequenza, come amano raccontare i carnivori di fronte alle proteste dei vegani. La lingua italiana piange.
Piange soprattutto nelle discussioni politiche, nei commenti ai fatti di cronaca nera, o in funzione delle gesta dei migranti. Si dispera quando incontra la parola chiave Boldrini in un post, un cognome che funge da magnete per gli errori grammaticali. Geme quando viene tirato in ballo lo Ius Soli, si sloga sulle tesi relative all’apologia del fascismo, viene ferita a morte durante i comizi anti vaccini.
Non è nostro dovere né nostra volontà analizzare tali contenuti. Se siete utenti di Facebook saprete di cosa stiamo parlando e se non capite dove sia il problema, con tutta probabilità fate parte della nutrita schiera rumorosa di ignoranti D.O.C., che hanno dimenticato come si scrive in italiano ma vogliono lo stesso dire la loro.
Forma prima della sostanza, perché noi vogliamo il pane e le rose, per ricontestualizzare il discorso di Rose Schmeiderman che rivendicava il diritto di voto alle donne, ma anche il diritto all’arte e alla musica per le operaie. Il pane e le rose. Che c’entra? Tutto.
La sostanza di un discorso è il suo nucleo e il suo motore, ma la forma, a parità di sostanza, ne identifica la qualità. L’ignoranza manifesta sui social, appare in tutto il suo fragore non solo nei casi di analfabetismo funzionale, cioè in quelli relativi agli individui che sanno leggere ma che non comprendono del tutto il significato di ciò che hanno letto e comunque commentano fingendosi esperti. Oggi più che mai fa rumore il menefreghismo di fronte alle regole che ortografia e grammatica imporrebbero.
I segni d’interpunzione usati come fossero emoji, il numero dei punti di sospensione correlato alla lunghezza della pausa che si vuol trasmettere, oppure messi lì a simulare le virgole, che lasciano il lettore attento con un senso di apnea o fame d’aria, dovuto alla troppa suspense.
La lettera H scritta a sproposito, come fosse un abbellimento, una foglia d’oro che in taluni casi si può anche evitare, combattendo sotto la bandiera del “Tanto ci siamo capiti, no?”. Gli apostrofi che nel dubbio si mettono al maschile e femminile o non si mettono proprio. Il qual’è, che se ti permetti di correggerlo, passi da snob.
Un’intensa galleria di orrori che i lettori regolari, ovvero le persone avvezze alla grammatica, non riescono a non notare e che spesso vengono qualificati dalla maggioranza rumorosa come radical chic, che si attaccano al cavillo quando in gioco c’è la libertà individuale da proteggere.
Giacché non è vero che la maggiore libertà possibile equivalga al maggior benessere possibile e sottolineando il fatto che non siamo in dittatura, assolutamente no, allora non potremmo utilizzare tutto quel ben di Dio di libertà che ancora ci viene data, per imparare l’italiano? Così, anche se i vostri convincimenti fossero antitetici ai nostri, potremmo cullare la consolazione che almeno siano espressi in italiano corretto.
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