Il sito nato nel 2002 dalla mente di Scott Heiferman e Adam Seifer è stato un vero progenitore dei moderni social network arrivando online a ridosso di Myspace e molto prima degli attuali Facebook e Instagram. Utilizzandolo era possibile condividere le proprie foto (una al giorno) e diventare amici di altri utenti presenti nella rete attraverso un meccanismo ancora primitivo. Oggi con un prolungato messaggio di errore il sito dice improvvisamente addio ai suoi pochi iscritti rimasti. Abbiamo chiesto a due dei pionieri della Fotologsfera italiana di ricordare i fasti, l’importanza pionieristica e la piacevole ingenuità di quei tempi
Ogni tanto ci interroghiamo sul ciclo vitale delle cose su internet, di come nascono, crescono e muoiono in un arco brevissimo rispetto a quanto accadeva nei tempi pre-internet. Se abbiniamo questa riflessione ai social network, il nostro primo pensiero va sicuramente a Fotolog. Possiamo definirlo il primo social network in cui ci siamo imbattuti? Per noi lo è stato. È stato il nostro rito d’iniziazione al social internet, tanto che uno di noi, Emanuele, ancora adesso utilizza lo stesso username che usava su Fotolog “ehiuomo” su qualsiasi sito.
Come abbiamo scoperto Fotolog? Bella domanda, la risposta porterebbe a mille altri discorsi: era il banner pubblicitario di una board, vi ricordate le discussion board? Ci sarebbe da dire molto anche sul peso dei nickname e degli avatar di allora rispetto a oggi dove compagnie come Facebook ti obbligano ad usare nome e cognome vero. Al tempo era come se i social stessi ti suggerissero per primi di sintetizzare la tua persona in un avatar e in un nickname, che poi a volte era un progetto artistico, altre il soprannome che ti avevano dato gli amici al campetto. A pensarci bene una volta online eravamo tutti dei personaggi.
Credo che almeno per noi due, ma anche per tutti quelli che abbiamo conosciuto in quegli anni (stiamo parlano del 2004/2006 per quanto riguarda la fase apicale del fenomeno) che bazzicavano su Fotolog, l’attitudine è rimasta sempre la stessa. Un modo di fare che era anche una scuola di vita, e che insegnava a distinguere nettamente cosa avesse senso postare online e cosa invece fosse meglio tenersi per sé. Un approccio ai social network che abbiamo ancora adesso. Fotolog in fondo era un proto-Instagram con notevoli limitazioni. Ad esempio non potevi postare più di una foto al giorno, o una bacheca limitata a un massimo di dieci commenti. In effetti, a pensarci, aveva un sacco di limiti e limitazioni. Chissà perché ci gasava così tanto.
Forse proprio quei limiti strutturali hanno creato questo approccio al “ti mostro solo il meglio della mia giornata“. Doveva per forza essere il meglio, per farti vincere la fatica di collegare la fotocamera compatta con il cavetto, scaricare le foto, selezionare e sistemare le migliori, metterle da parte per il giorno giusto… Una foto al giorno è una responsabilità! Peggio del Super like di Tinder che abbiamo oggi insomma.
Di sicuro rispetto al presente richiedeva uno sforzo che potremmo definire narrativo. E narrare significa per forza di cose selezionare, e questo ci riporta alla creazione di personaggi. La cosa che ci ha sempre affascinato è anche il sentirsi da subito parte di una comunità piccola ma compatta. A ben pensare su Fotolog abbiamo conosciuto numerose persone con cui poi abbiamo sviluppato un rapporto di amicizia (sia virtuale che reale). Persone che stimiamo anche perché sanno come si sta sui social. Una comunità frazionata in tante piccole realtà locali, distribuite davvero a caso su e giù per lo stivale.
Avevamo persino creato una spilla che recitata “Io ho un fotolog”.Oggi sembra un po’ patetica come cosa ma ci ricordiamo ancora il brivido iniziale nella sensazione di far parte di qualcosa di nuovo. C’era anche stata la folle idea di radunare i fotologger ai concerti, semplicemente pubblicizzandolo sul social stesso. E a ogni incontro nuovo diventava quasi obbligatorio l’autoscatto, il selfie, Anzi “spararsi una posa“, come si diceva prima dell’avvento degli smartphone. Sembrava giusto e importante, oltre che divertente, testimoniare il link avvenuto nella realtà. La cosa curiosa è che mi sembra che adesso ci sia una nuova attenzione per i social che si concentrano su un solo canale, come se la pervasività e omni comprensività di Facebook ci stesse un po’ saturando. Che Fotolog fosse allora avanti sui tempi?
Purtroppo per loro noi, come cavallette, ci siamo spostati da un social all’altro ansiosi di novità, per poi scoprire che si stava meglio quando si stava peggio o forse abbiamo solo dato a Fotolog l’incarico di fare da collante a tutti i nostri ricordi di quel periodo. Con la notizia di oggi, la chiusura definitiva di Fotolog tutti i nostri archivi, che giacevano lì inerti, come un cimitero degli elefanti e che ogni tanto consultavamo in preda a un attacco di nostaglia sono dunque persi per sempre. Mentre noi possiamo ancora, per esempio, leggere i diari dei nostri nonni spaventa il fatto che stiamo affidando tutte le nostre memorie a qualcosa di fuggevole e opaco come i social network.
Sono cose a cui non pensiamo quando carichiamo una foto ma soltanto quando questa va persa. Cosa faremo quando succederà lo stesso con Facebook? Ma tanto Facebook è per sempre, no? Forse se Fotolog ci ha insegnato una lezione: nessun social è per sempre. Correte a salvare le vostre foto, su più supporti. Anzi stampatele. E compratevi un quadernino per scrivere quello che ritenete importante.