Giunto alla settima puntata ed eccitato come un cavallo al Palio di Siena, torno sull’argomento Twin Peaks, il revival odierno della serie tv che cambiò il modo di fare televisione nel 1990 e che sta trovando la sua chiosa in un lungo film di 18 puntate, ideato e diretto da David Lynch, in collaborazione con Mark Frost.
Quello della cittadina di Twin Peaks, coi suoi mille segreti soprannaturali e non, è un microuniverso che ha raggiunto una fama spropositata ed è diventato un fenomeno pop, un tormentone, un’icona che ha alimentato il mito per 25 anni, finché i suoi autori non hanno deciso di ritornare proprio lì.
Il 6 ottobre del 2014, la notizia del sequel diretto da David Lynch ha fatto il giro del mondo più rapidamente di uno Shuttle e tutti hanno voluto partecipare alla catarsi, facendo diventare Twin Peaks grande come Los Angeles, metaforicamente parlando.
Nessuna vera campagna promozionale per il revival, set blindatissimi e fino al giorno prima della messa in onda della nuova serie, pochi indizi centellinati. Una cosa che non trova paragoni nel panorama odierno. Arrivato il grande giorno, già un po’ di hype generalista se n’era andato. Ben pochi tra tutti quelli che avevano espresso parole tipo quelle degli apostoli quando vedono Gesù risorto per il ritorno di TP, poi l’hanno davvero guardato in diretta alle 3 di notte di domenica qui in Italia.
Anche negli USA dev’essere successa la stessa cosa perché il pubblico della diretta sembrava così poco da definirlo subito flop, quello dello streaming invece è stato un record per Showtime, ma si sa, i tempi sono cambiati e con essi la fruizione degli spettacoli.
David Lynch è un artista e la sua opera non è per tutti. Non c’è di certo da sentirsi superiori o inferiori, è una mera questione di gusto personale: le atmosfere che per qualcuno possono essere sconvolgenti a livello viscerale, per altri sono solo noiose.
Il nuovo TP infatti nasce con poca musica di sottofondo, lunghe sequenze silenziose, con pochi dialoghi e tante stranezze. Non è una cena di classe dei tempi andati, in cui parlare amabilmente dello stupro e del conseguente delitto di Laura Palmer ad opera del padre Leland Palmer posseduto dal demone Bob.
Già solo il fatto che questo atto criminale sia diventato un pilastro della cultura pop, di così vasta eco da farci su dei pupazzi del cadavere violato di una liceale, dovrebbe farci venire più di un dubbio sulla proporzione hype vs. realtà.
Ad oggi mi sono annotato un tot di critiche, anche pesanti, che la nuova serie di TP sta ricevendo sui social. L’ho fatto perché penso che una buona percentuale di chi le fa, non ha mai visto la serie originale, né il film prequel Fuoco cammina con me, non ha guardato i Missing Pieces (tutto il materiale scartato da FCCM) e non ha neanche seguito il percorso di David Lynch come regista negli ultimi 25 anni (neanche quello precedente, a dire il vero).
No, non ci vuole il pedigree per guardare la tv, per scegliersi un’opera complessa e molto personale invece, meglio di sì.
Ecco un elenco in ordine sparso dei commenti negativi che mi sono saltati all’occhio:
È lento, non ha ritmo.
La cinematografia di David Lynch nasce lenta, con Eraserhead del 1977. Twin Peaks del ’90 era effettivamente una delle cose con più ritmo che avesse fatto fino a quel momento, ma forse non vi ricordate le lunghe interminabili e grottesche sequenze di dialogo tra Catherine Martell e Benjamin Horne, giusto per citare un esempio di lentezza estenuante anche nell’originale. Gli ultimi film poi, Strade Perdute, Una storia vera, Mulholland Drive e INLAND EMPIRE non sono esattamente film d’azione. È la sua cifra stilistica.
Non ha musica.
C’è, è solo distribuita diversamente rispetto alle serie tv odierne e solo a sprazzi si concede un ritorno alla colonna sonora di Angelo Badalamenti che è stata icona di ansia musicale nei ’90s. Il nuovo Twin Peaks mischia ambienze industriali con gruppi di indie rock e classici del jazz o della musica americana, a seconda della bisogna.
Non ha trama.
Certo che ce l’ha, ma si fida che il pubblico abbia seguito tutta la storia e non arrivi impreparato al seguito. Chi non conosce i pregressi, può avere più di una difficoltà ad entrare nella storia, che stavolta è molto più intricata della serie originale. Fin dai suoi primi cortometraggi, Lynch ama mischiare le carte in tavola e aggiungere astrazione alla realtà, quindi capita di potersi confondere e di dover guardare il film dall’inizio alla fine per comprenderlo. Stessa cosa vale per questo film diviso in puntate.
Me lo aspettavo diverso.
Mi immagino anche come: lineare, coi protagonisti di 25 anni fa invecchiati ma sempre loro, ogni tanto la Loggia Nera in cui il nano parla al contrario e tutto girato a TP, in cui tiene sempre banco l’omicidio di Laura Palmer. Praticamente un film di David Lynch senza David Lynch.
È un delirio di onnipotenza di David Lynch.
È un progetto sicuramente ambizioso, ma trovatemi un regista di culto che, passati i 70 anni, sia così lucido da girare un film di 18 ore portando con sé tutti gli attori che ha utilizzato nella sua carriera e citando tutti i suoi lavori precedenti, per creare una serie che funziona e tiene incollati i fan allo schermo a guardare ogni puntata due volte di fila, per non perdere nessun indizio.
A Twin Peaks nel 2017 il male ha debordato e ha raggiunto capillarmente altre città, mentre l’unica persona che può in qualche modo arginarlo, è letteralmente divisa in due da 25 anni, con la propria parte buona e quella cattiva fisicamente separate. Per adesso, è la trama più lineare che David Lynch abbia partorito negli ultimi 25 anni, a meno che non sappiate riassumere in quattro parole INLAND EMPIRE o Mulholland Drive. Meno soap opera rispetto ai 90s e più procedural, sebbene con le dovute differenze rispetto a un Law & Order qualsiasi.
Morale: a qualcuno piace, ad altri no. Divide più di quanto divideva nei ’90s perché oggi il pubblico è abituato ad alti standard di serialità e TP non deve concorrere con Dallas, Dynasty o Beautiful, ma con serie geniali, girate benissimo, con un bagaglio letterario e autoriale ben più pesante dei loro simili agli albori della serialità tv. Ma è un cane che si morde la coda, perché molte delle serie di oggi non sarebbero mai state sorprendenti ed estreme se non fosse passata Twin Peaks come una cometa nel 1990.
Oggi è cambiato tutto: il pubblico, la tv e David Lynch. Quello che va in onda ogni domenica alle 3.00 di notte su Sky Atlantic è il risultato di questo mutamento ed è giusto e comprensibile che abbia un’eco diversa sull’opinione pubblica generalista: una serie così non si era mai vista prima e obbliga il pubblico a trovare il tempo, la volontà e la gioia di entrarci dentro coi panni e tutto, tranne le scarpe.