C’è stato un tempo in cui le serie tv si chiamavano telefilm e pay tv era solo un modo aristocratico per chiamare le rate mensili per finire di pagare l’apparecchio. Nei catodici anni ’80, martedì 13 gennaio 1987 è stato un giorno epocale per quelli come me, desiderosi di eroi a pronta presa.
Oggi alle 20.30 può capitare di essere ancora sui mezzi per tornare a casa da lavoro. 30 anni fa invece era l’ora x in cui ci si riuniva davanti alla tv e si guardava il programma della serata e quel martedì lì su Italia 1 capitò una cosa epocale: andò in onda il primo teen drama/comedy italiano, I Ragazzi della Terza C. Sigla.
Dentro c’erano tutti i comandamenti per vivere bene negli anni ’80: i bocciati erano fighi, gli sportivi beccavano, i secchioni erano brutti, i ciccioni erano ciccioni, le bionde erano bone, i fidanzatini ripugnanti, i romani ignoranti, i milanesi c’avevano i soldi, i neri erano negri e fumare faceva bene. No, la sceneggiatura non l’ha scritta Gasparri. Funzionava così, erano tempi semplici, che ci volete fare?
Il capo del mondo era lo Zampetti, il cummenda milanese interpretato dal mai troppo compianto Guido Nicheli (che sulla tomba si è fatto scrivere “See you later”, diventando un idolo per sempre), imprenditore nel campo dei salumi, con la moglie brutta, la figlia che vogliono tutti e Aziz, il domestico di colore, che sovente il commendatore chiama “animale” o “mangia banane”, provocando un sacco di ilarità nel pubblico da casa.
Un ottimo esempio di come funzionava l’integrazione in quegli anni lo potete vedere qui sotto.
Passiamo ai ragazzi: Chicco Lazzaretti (Fabio Ferrari) era il pluribocciato. Un liceale che se lo guardavi in faccia sembrava più vecchio di te ora, e son passati 30 anni. Era il boss del gruppo di amici, quello che se la cavava sempre, che non studiava mai, che bullizzava i deboli a fin di bene e che conosceva la scuola meglio dei bidelli. In nome dei Duran Duran e con l’appoggio di Scialpi.
L’amico di Chicco era Massimo Conti, cioè Renato Cestiè, che aveva debuttato da bambino nel mega horror di Mario Bava Reazione a Catena e che nella Terza C faceva quello che pensa solo allo sport e che corre sempre accanto a una Opel Corsa, sponsor nemmeno troppo velato del telefilm (viene citata quando possibile, anche 5 volte a episodio, con frasi tipo “ti vengo a prendere con la mia OPEL CORSA FIAMMANTE”).
Eh sì, era la macchina dei fighi.
Ma la vera attrice che viene dall’horror e della quale ero segretamente innamorato in quegli anni era Nicoletta Elmi (film precedenti: Morte a Venezia di Luchino Visconti, Gli orrori del castello di Norimberga di Mario Bava, Profondo Rosso di Dario Argento, giusto per citarne tre. ) che interpreta Benedetta, la darkettona coi capelli rossi. Pessimista, cinica, esistenzialista, lettrice di mattoni russi, temuta iettatrice. Amore a prima vista.
Menzione d’onore a Fabrizio Bracconeri, che nel film recita il ruolo della vita: Bruno Sacchi, il timido, impacciato ciccione romano che a scuola non è buono a nulla e sta simpatico a tutti. Poi niente, l’attore è dimagrito e ha iniziato a fare Forum, accomnpagnando Rita dalla Chiesa e Pasquale Africano. Nel 2014 si è candidato alle Europee con Fratelli d’Italia e è nuovamente diventato famoso per aver creduto che Miles Davis fosse un profugo che ci ruba i soldi. Insomma, pare che agli anni 80 lui ci sia rimasto un po’ sotto.
Se studiavi eri brutto, per forza. Questa è una regola fondamentale della filmografia occidentale di quel decennio. Elias e Tisini erano le due secchione della Terza C e avevano i seguenti difetti: non erano provviste di nome proprio, erano antipatiche, infami e invidiose, si vestivano al buio e si beccavano severe dosi di body shaming da parte di tutto il resto della classe. No, il politicamente corretto non faceva parte della programmazione di Italia 1.
La figa, obbligatoria in un programma Mediaset, era Sharon Zampetti, che a memoria non ricordo abbia mai detto una frase più lunga di 5 parole, però ha mangiato tantissimo Cornetto Algida, altro spot del telefilm. Praticamente se la vogliono fare tutti. Fine del ruolo.
Il resto è composto dai due innamoratini noiosi alla morte, dal professore partenopeo che dà sempre 3, da Totip, il barista a cui nessuno paga mai il conto (toscano, perché i toscani fanno ridere) e da Ciro, il bottegaio che rifila a Bruno Sacchi dei pacchi colossali.
Ma il personaggio a cui ero affezionato come a uno di famiglia era Spartaco Sacchi, interpretato dal grande Ennio Antonelli, un ex pugile professionista diventato caratterista di mille commedie all’italiana, da Lo sceicco bianco di Fellini fino ai classici Eccezziunale… veramente, Sapore di Mare, Pierino, Amici Miei atto secondo o Fantozzi subisce ancora. Un attore pari solo al sopracitato Guido Nicheli, ai quali non si capisce come mai il Governo non abbia dedicato una piazza, una banca o alcuni busti in marmo.
Non vi sto ad ammorbare col prima e dopo. Alcuni recitano ancora, altri purtroppo non ci sono più e parecchi hanno smesso. Come capita con le robe di 30 anni fa. Il punto è che quel telefilm, con le gag e le esagerazioni, rappresentava sul serio la realtà italiana degli anni 80, che ci piaccia o no. Era volgare, arrivista, menefreghista, razzista, sessista e un altro sacco di cose brutte che finiscono con -ista. Oltretutto i vestiti facevano pure pena.
Alla fine non sarà che tutta la nostalgia viene esclusivamente dal fatto che eravamo più giovani noi? Dai, facciamolo questo esame di maturità e andiamo avanti.