Oggi Vacanze Italiane arriva alla sesta puntata: dopo Pietra Ligure, Strevi, Palleusieux, Capitolo, e Moneglia, andiamo in Trentino-Alto Adige, a Versciaco (Vierschach).
Vacanze Italiane è una rubrica in cui raccontiamo i posti dove tutti noi siamo stati in vacanza fino ai 18 anni. È il nostro tema libero sull’estate, visto che ormai siamo in periodo di compiti per la vacanze: se volete mandare la vostra vacanza italiana, scrivete a info@dailybest.it.
“Ci torniamo ogni estate da anni” diceva mia madre, spingendo con slancio l’enfasi alla fine della frase, come se tutto quel tempo dovesse per forza essere una bomba. Per la precisione erano già 11 anni che ci andavamo, di cui 9 nello stesso albergo. C’erano la mia famiglia, un paio di famiglie da Padova, una specie di comitiva di almeno 40 persone da Desio, e qualche coppia più o meno stagionata che variava ogni estate, magari perché ci finiva per caso, in un’era pre trip advisor. Un delizioso paesino dell’Alto Adige o del Sud Tirol, chiamatelo come vi pare.
5 hotel, 1 chiesa, BASTA.
L’entrata nell’adolescenza lo trasformava automaticamente nella settimana più brutta della mia vita. Essendo un ragazzo sano e lucido, avrei voluto essere da tutta un’altra parte, senza la mia famiglia, facendo altro. Molto probabilmente questo era un paradigma applicabile a qualsiasi programma di partenza.
Quelli che erano stati lassù i compagni di giochi da bambini, ora erano diventati altri adolescenti in cattività. Ed ovviamente quello più sveglio non ero io. Era M, di una delle famiglie di Padova: smargiasso, furbo, un paio d’anni più grande di me nella realtà, interi decenni di più di avventure nei mari dei Caraibi nella fantasia. Arrivava sempre in villeggiatura con la sua famiglia prima della mia, quindi se c’erano dei cambiamenti, lui era il primo a scoprirli.
Nell’estate del 1994 c’erano grosse novità: in uno dei 5 hotel erano venute a lavorare C ed A, due ragazze più o meno nostre coetanee. M non si era fatto scappare la novità, e tentava una corte abbastanza serrata nei confronti di C, la più grande delle due, la quale, forse come ottima scusa di partenza, gli diceva che non poteva uscire con lui perché serviva un quarto per A. E così, appena arrivato al nostro solito hotel, M. mi disse “ti devo chiedere un favore”.
Sì, lo so che state pensando agli 883, e ammetto di averci pensato anch’io allora, ma era il 1994, avevo 15 anni, per me era troppo presto per poter citare gli Smiths e troppo tardi per non volere avere dimestichezza con questo genere di cose per cui sì, accettai senza riserbo alcuno.Il piano era degno di uno di quei vecchi film di Little Tony in cui fa la naja con Ferruccio Amendola: le si andava a prendere quando staccavano dall’hotel, si mangiava un gelato assieme (non c’erano gelaterie, quindi sarebbe stato un altro squallido bar tutto in legno di un altro hotel) E POI.
E poi si finiva con M. e C. chissà dove, e io e A. a fingere di non essere i pali della situazione. Anche se non ci credereste mai, a 15 anni non ero ancora quell’incredibile condensato di 176 centimetri di fascino e carisma per cui le donne sarebbero letteralmente impazzite in seguito, ed anche la mia disinvoltura nelle conversazioni con l’altro sesso non ricordava la precisione cristallina di una performance di Segovia (vi prego, lo so che ho detto che avevo 15 anni e ho scritto anche Segovia, ma non serve facciate battutacce).
Inoltre A. aveva una difficoltà in più: era, come praticamente tutti gli indigeni, fiera madrelingua teutonica. Questo creava qualche misunderstanding di ordine lessicale. Avevo detto “gufo”. “Che cosa è gufo?” e come te lo spiego, se l’unica cosa che so dirti in tedesco è eine wienerschnitzel mit pommes frites. Mi salvò la sua noia. Al dodicesimo secondo di vani tentativi stile Pictionary, mi baciò.
Difficilmente lo era per lei ma, se non mi ero perso qualcosa, quello era proprio il mio primo bacio. Ora non fatemi fare il sentimentale, lo avete dato anche voi il primo bacio, e quasi certamente meglio di me, quindi sapete che si prova.
Posso solo dire che fu decisamente meglio che farle capire cosa cazzo fosse un gufo.