Quarta puntata di vacanze italiane: una rubrica con cui vogliamo raccontare i posti dove tutti noi siamo stati in vacanza fino ai 18 anni. È il nostro tema libero sull’estate, visto che ormai siamo in periodo di compiti per la vacanze! Se volete mandare la vostra vacanza italiana, scrivete a info@dailybest.it.
Se sei nato in Puglia, in media, non hai bisogno di spostarti per fare vacanza. Tutto intorno a te è vacanza, quando inizia la stagione estiva. In particolare io sono nata in un paesino baciato dal sole, benedetto dalla presenza di un sistema carsico di grande interesse internazionale, a pochi chilometri tanto dal mare quanto da Alberobello. Al centro di un triangolo vacanziero fatto di Polignano-trulli-carne alla griglia, l’estate non è altro che la tua normalità.
A causa anche del lavoro di mio padre, che si occupa di gestire un’azienda agricola e all’epoca della mia infanzia aveva 100 vacche cui badare ogni giorno, con la famiglia non avevamo mai fatto davvero vacanza, escluse fugaci visite ai parenti in Salento. La routine con mia mamma e mia sorella era di andare al mare con la Panda, affrontando gli appena 15 km che ci separavano dalle spiagge di Monopoli, per tornare a casa nel pomeriggio.
Neanche le colonie erano entrate nel linguaggio di casa mia.
All’inizio dell’estate del 1996 avevo 9 anni, e il giorno dopo una festa di compleanno a casa di un’amichetta, avevo iniziato a star male, ma male sul serio, tanto che i miei mi avevano portata in ospedale e a mezzanotte della stessa giornata ero sotto i ferri a farmi asportare un’appendice in peritonite. Dopo la convalescenza, mia madre pensò che sarebbe stato meglio portarmi al mare (che dalle nostre parti cura un po’ tutto), ma non sottopormi allo stress della Panda.
Così, d’accordo con la sua migliore amica, si decise di lasciare i mariti a casa e affittare una casetta per una settimana ad Agosto, a pochi metri dallo stabilimento balenare Lido Azzurro, ma a pochi km da casa, così da non dover affrontare viaggi lunghi e permettere ai mariti di raggiungerle per la cena. Cominciarono così le mie Vacanze al Capitolo.
Il Capitolo è sostanzialmente Monopoli Marittima. Si tratta del lembo costiero che si sviluppa dalla città fino agli scavi di Egnazia, dove soprattutto hanno casa tutte le persone che abitano nell’entroterra: castellanesi, alberobellesi, gli stessi monopolitani, mentre d’inverno ci vivono appena in un centinaio di persone e per lo più nelle campagne appena a ridosso della costa. Le spiagge sono lunghe e sabbiose, anche se gli sciagurati condoni hanno permesso la permanenza di ricche ville costruite praticamente sulla sabbia. Il mare è davvero bello, con lunghi tratti di bassissima marea e con tanti tratti liberi, a discapito dei lidi privati.
La nostra casetta era un trilocale di una schiera inserita in un villaggio turistico, che aveva anche un campo da calcio, uno da basket e un minimo di intrattenimento serale. In casa eravamo io, mia madre, la sua amica e i suoi due figli miei coetanei, Giuseppe e Sergio. Come prima esperienza fu entusiasmante soprattutto per noi bambini: una settimana liberi di esplorare il villaggio, scendere da soli al mare, mangiare gelati e fare nuove amicizie.
All’interno del villaggio che – tutto recintato e quindi sicuro – era pieno di bambini della nostra età, si formò presto una banda. Quasi tutti venivano da Bari, tranne un bimbo che arrivava addirittura da Varese per fare le vacanze dai suoi nonni: per noi il suo accento era più esotico di un Solero Algida. Quell’anno feci amicizia con Gabriella, una bambina che per un tempo che a me pare infinito ma probabilmente durò solo i mesi invernali, diventò la mia pen friend.
L’affitto della casa divenne una piacevole abitudine negli anni, e per 6 anni circa fu ripetuta allungando sempre di più i tempi di permanenza nel villaggio. Noi ormai ragazzini eravamo abbastanza liberi: andavamo al mare da soli, e visto che la nostra famiglia era troppo di sinistra per prendere l’ombrellone al Lido, scorazzavamo per le spiagge libere; le nostre mamme ci mandavano a fare la spesa al mini-market della contrada, il Gran Pavese, e con il resto potevamo giocare con i videogiochi arcade al bar Ancora. Il Bar Capitolo (che ora si chiama Kapitolo, dopo un periodo di cui tutti si vergognano in cui era stato ribattezzato KK) aveva fuori i flipper, e io potevo andarci fuori di testa per interi pomeriggi, fingendo che la fessura si fosse mangiata il gettone per farmene dare un altro a scrocco dal barista. Spesso funzionava, e non per le mie doti attoriali.
Io e Giuseppe imparammo ad andare sui pattini in linea come due teppisti con le ginocchia perennemente sbucciate. Sergio che era tutto magrolino al mare sviluppava una fame sovrannaturale, e da bimbo rachitico quegli anni lo trasformarono nel bel ragazzone che è adesso. È proprio vero che il mare cura un po’ tutto.
I miei ricordi di quegli anni sono tutti dominati dalla voce di Alexia che canta: the summer is magic uououo.
Al Capitolo inoltre non era infrequente incontrare alcuni esponenti del cinema bene di quegli anni: Jerry Calà (che aveva girato alcune scene di “Professione Vacanze” in un resort poco più a nord, Cala Corvino) e Christian De Sica erano spesso ospiti nelle numerose discoteche che animano la parte più a sud della costa, e nei ristoranti potevi assistere a qualche matrimonio vip, o addirittura alle riprese di qualche film che un giorno un sito come Dailybest rivaluterà in una nuova scala del trash, tipo Vento di primavera – Innamorarsi a Monopoli.
Con l’avvicinarsi dell’adolescenza la banda di amici con cui ormai era tradizione ritrovarsi al “muretto” del villaggio (al centro di tutte le stradine) iniziò a diventare un complesso groviglio di relazioni, tradimenti, indecisioni ed esplosioni ormonali. Primi baci, prime gelosie, litigate e un perenne giocare a sottrarsi le attenzioni.
Ci fu sgomento da parte delle ragazze ancora senza forme del gruppo quando una che fino all’anno prima era stata un po’ ciotta, nel giro di qualche mese si era trasformata tanto da meritarsi da parte dei maschi l’appellativo di “Culo d’Oro”. Quelli poco più grandi di noi non ci cagavano di striscio e al contrario di quello che si può pensare non era motivo di sofferenza: non eravamo ancora attratti dalle discoteche, più che altro dalle nuove forme sotto i nostri costumi.
Una cosa che ricordo distintamente è che alla fine di una di queste vacanze, quella in corrispondenza dei miei 14 o 15 anni, sentii così forte la mancanza di uno degli amici del mare da capire perfettamente per la prima volta a quale stato d’animo corrispondesse la parola nostalgia.
Un’altra cosa che ho imparato al Villaggio Macchia di Mare è l’aver percepito per la prima volta la divisione in classi: in qualche modo il fatto che noi fossimo in affitto e non proprietari di una casa mi faceva sentire “più povera” degli altri, e non trascorrendo l’intera estate lì, arrivare a giochi già iniziati rappresentava ogni anno una sfida d’inserimento.
Intorno ai nostri 17 anni, le mamme trovarono una villa a metà strada tra la campagna e il mare davvero molto bella, ma da cui però non era possibile raggiungere il mare in autonomia né passare le serate sul muretto a pomiciare e ascoltare i Blink.
Ormai adolescenti pieni e col giro di amici al paese, le lasciammo sole a rilassarsi, mentre noi ci godevamo la casa al paese senza genitori: mica male. Adesso che vivo e lavoro a Milano non è cambiato nulla: le mie vacanze sono sempre in Puglia, a casa mia. Ogni giorno prendo la Panda e vado al mare al Capitolo, bevo un’acqua tonica al bar di Lido Azzurro, un pezzo di focaccia per pranzo dal Gran Pavese, e di tanto in tanto reincontro i compagni del villaggio.
Quasi mai abbiamo qualcosa da dirci. Ma siamo tutti amici su Facebook.