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Viaggi
di Ilaria Perrone 6 Luglio 2016

Vacanze Italiane – 1996, il tempo delle mele a Strevi

La nostra rubrica dell’estate: dove siamo stati in vacanza fino ai 18 anni?

strevi  Gif di Gabriele Ferraresi

 

Dopo la prima puntata dedicata a Pietra Ligure continua vacanze italiane: una rubrica con cui vogliamo raccontare i posti dove tutti noi siamo stati in vacanza fino ai 18 anni. È il nostro tema libero sull’estate, visto che ormai siamo in periodo di compiti per la vacanze! Se volete mandare la vostra vacanza italiana, scrivete a info@dailybest.it 

Ho iniziato a capire l’estate solo quando è diventata un ricordo, quando ho capito che non sarebbe tornata, non in quel modo, non con quel tipo di leggerezza.

Non voglio essere retorica e neanche nostalgica e non voglio neanche farvi invidia ma le mie estati erano veramente le migliori che un bambino o un adolescente potesse desiderare.

Non ero imprigionata in un città calda e afosa, non venivo spedita in Liguria dai nonni o al campo estivo dei salesiani  o peggio a quelle terribili gite dell’Agesci. No, niente di tutto ciò, io vivevo in un paradiso con piscina in mezzo alle vigne a Strevi, in provincia di Alessandria, venivo mandata almeno due settimane a Londra, con le mie amiche, a imparare l’inglese, partivo per altre due con i miei in giro per il mondo e poi chiudevo in montagna a Sansicario con la meravigliosa Tennisclinique, una specie di club del tennis per bambini ricchi e stronzi.

Ok, odiatemi pure, mi odierei anch’io adesso, soprattutto perché alla fine non ero neanche poi così felice, anzi non sorridevo quasi mai, ero una di quelle adolescenti con il muso perenne, pensavo fosse normale e neanche me ne importava granché.

Vivevamo nella nostra bolla, quando finiva la scuola ci sentivamo finalmente liberi da qualsiasi tipo di responsabilità potesse esistere al mondo, la scusa per tutto era «è estate», se volevo uscire tutte le sere dicevo a mia mamma «ma è estate», se facevo tardi piagnucolavo «è estate», se volevo dare una festa dicevo la stessa cosa, potevamo fare quello che volevamo, era iniziata l’estate.

Nel  1996 avevo quattordici anni, avevo finito il primo anno di liceo e i miei genitori, dopo lunghi piagnistei e litigate, mi avevano comprato un motorino e avevo anche avuto il permesso di organizzare una festa in piscina senza adulti, due successi incredibili. Lo avevo urlato al telefono a Valeria, ero saltata sul motorino ed ero uscita, non pensavo ad altro che alla festa, tutta la mia vita dipendeva da questo, tutta la mia felicità.

Tutte le sere parcheggiavamo i motorini vicino alla piazza principale del paese o a volte di fronte alla chiesetta della Maggiora, ci trovavamo sempre lì, noi primine con i ragazzi di seconda liceo, i ragazzi fumavano delle sigarette e noi starnazzavamo come delle oche sedute sugli scalini, a volte prendevamo i motorini e scollinavamo, non c’era un motivo preciso, volevamo passare il tempo, spesso qualcuno aveva una bottiglia di vino, a volte qualcun altro si appartava per limonare.

Io ero quasi sempre silenziosa, talmente tanto da non riuscire a parlare con i ragazzi, forse perché li odiavo un po’, l’unico che avessi baciato mi aveva detto che a quattordici anni i baci non significavano nulla, non ci si poteva fidanzare dopo, non erano importanti, mi aveva spezzato il cuore.

Giulio però mi piaceva, si era ossigenato i capelli e li aveva biondo platino come Sick Boy, lo aveva fatto per Trainspotting, non parlava tanto neanche lui ma sembrava essere sicuro di se, uno di quei figli unici che pensano che tutte le ragazze siano un po’ stupide, sono sicura lo pensasse anche di me e delle mie amiche perché lui e i suoi amici ci chiamavano le All Saints, io non riuscivo a dire niente, me ne stavo zitta, con la mia faccia un po’ triste e con il mio fisico senza forme.

Sì perché tutte le altre avevano le tette, io no, questo rendeva le mie amiche molto più fighe e sicure nei flirt con i ragazzi, tanto che furono Valeria e Silvia ad invitarli alla mia festa, mentre io e la mia prima scarsa li guardavano annuire da lontano. Sarebbe venuto anche Giulio, mi sentivo felice, speravo si accorgesse di me in qualche modo ma non sapevo bene come fare.

Secondo Valeria serviva una strategia, dovevo fargli capire che mi piaceva e per farlo dovevo andare il pomeriggio alla piscina pubblica, dove andavano tutti i liceali a passare i pomeriggi e flirtare in acqua, ma a me non era permesso. A un certo punto mi convinsi che mio padre avesse costruito una piscina per non farmi nuotare con i ragazzi e farmi morire vergine e sola. I miei non capivano il perché dovessi andare in una piscina pubblica sporca quando ne avevo una tutta per me in giardino, li convinsi piagnucolando tutta la mattina e interpretando la parte della ragazzina sola, ricca ed emarginata dai suoi amici, credo mi dissero di sì per sfinimento, come sempre.

Mi ricordo la sensazione mentre uscivo con il motorino da casa, mi ricordo che il sellino scottava e il sole mi bruciava le ginocchia, ero felice, avrei visto Giulio e il giorno dopo sarebbe venuto alla mia festa, non esisteva nulla di più bello al mondo. Le mie amiche e i ragazzi si mettevano sempre sulla terrazza sopra il bar, per me era la prima volta ma si vedeva che loro erano padroni degli spazi, che c’era una specie di rito nel giocare a palla sulla passerella, scendere tutti a prendere il gelato, salire sul trampolino per tuffarsi e bere l’estathé al limone, li osservavo come se fosse qualcosa di bello e irripetibile.

Quel pomeriggio me ne restai in terrazza, a volte scendevo per buttarmi in acqua ma poi risalivo per stendermi sulla sdraio e leggere il mio libro, ogni tanto guardavo Giulio da lontano fare stupidi tuffi e scivolate sulla passerella dove giocavano a pallone. Poi, quando il sole stava già scendendo, mentre affrontavo la mia lettura leggera dell’estate [Il rosso e il nero di Stendhal] fu lui ad avvicinarsi, mi disse solo «credo tu abbia un bel fisico, pensavo che alla tua festa potremmo baciarci», io non dissi nulla, feci sì con la testa e mi sentii molto stupida, lui mi guardò pensando che fossi molto strana e mi disse solo «a domani».

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