Quante bellezze abbiamo in Italia, non basterebbero dieci vite a conoscerle tutte: una di queste, piccola e un po’ dimenticata ma davvero splendida è Civita di Bagnoregio, frazione abitata da poco più di una decina d’abitanti del Comune di Bagnoregio, provincia di Viterbo. È poco distante Roma, potreste avvicinarvi lì in macchina – e già che siete da quelle parti, fare un salto alla Scarzuola di Tomaso Buzzi, un paese che sembra pensato da Escher – ma poi la macchina lasciatela parcheggiata, abbandonatela, e proseguite a piedi o in bicicletta.
Anche perché per fortuna non avrete scelta. Sì, perché l’incredibile Civita di Bagnoregio si può raggiungere solo tramite un ponte pedonale costruito nel 1965, opera del genio civile. A quel punto preparatevi a pagare un piccolo obolo d’ingresso per visitarla – ben 1,50 euro. Saranno soldi ben spesi – e soprattutto sbrigatevi a visitarla, perché purtroppo è soprannominata “la città che muore“. Sfortunatamente, non è un modo di dire.
Civita di Bagnoregio fu edificata dagli antichi etruschi 2500 anni fa, su una collina che si erode giorno dopo giorno. Figuriamoci dopo millenni, e già in passato si documentano tragici crolli, conseguenza in alcuni casi di terremoti, che hanno tentato di deturpare un’oasi di bellezza unica al mondo.
Bonaventura Tecchi – intellettuale e traduttore nato proprio a Bagnoregio – in Antica Terra (1967) scriveva “La fiaba del paese che muore – del paese che sta attaccato alla vita in mezzo a un coro lunare di calanchi silenziosi e splendenti, e ha dietro le spalle la catena dei monti azzurri dell’Umbria – durerà ancora” e c’è da sperare che abbia ancora ragione.
Tecchi non fu il solo a essere affascinato da questo borgo in mezzo alle nuvole, un pezzo di sogno dimenticato da qualcuno sulla terra. Ennio Flaiano, in Diario Notturno (1956) raccontava così il suo incontro con Civita di Bagnoregio “Per andare a Civitella si scende verso lo speco di San Bonaventura, che domina, dal ciglio del paese, una vallata stupenda, mangiata dal vento e dalle acque. Là in mezzo, alta sul suo precario acrocoro, è Civitella: si tiene in equilibrio. Per arrivarci, una strada che finisce in un viadotto. Due arcate sono già cadute: un ponte di fortuna permette un cauto passaggio. Sostando sul ponte ci si fa un’idea dell’erosione del vento, agevolata dal disboscamento e dalla natura cretacea del suolo. […] Arrivo a Civitella che è mezzogiorno. Le prime case del villaggio sono crollate, una di esse scopre già, nella cantina, un antico tempio. Solitudine, pensieri che si accompagnano generalmente a questi spettacoli. Proseguo, sono nella strada principale del paese ed ecco mi raggiunge un allegro vociare di ragazzi. […] Arrivo in piazza, visito la chiesa, ammiro il campanile. Sulla piazza passa gente calma e distratta che, come ogni giorno, si reca a casa per il pranzo. Quattro muratori stanno innalzando un’impalcatura sulla facciata di un palazzotto settecentesco.”
Non aspettate oltre, andate a vedere questo patrimonio dell’umanità, anche senza che una UNESCO qualunque ci metta un timbro sopra: patrimonio nostro Civita di Bagnoregio, lo è già.