Oggi è il giorno in cui i fan di vecchia data degli U2 piangono lacrime di gioia nell’attesa di vedere i propri supereroi suonare l’intero classico del rock The Joshua Tree per il suo 30° anniversario, in un bel tour mondiale che toccherà anche lo Stadio Olimpico di Roma il 15 luglio. Ma non è certo questo il motivo per cui Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. sono la band più paracula del pianeta.
Operazioni commerciali di questo tipo sono all’ordine del giorno e di solito vengono fatte quando le vecchie rock star hanno imboccato il viale del tramonto e non riescono a scrivere un pezzo bello da decenni. Insomma, ci sarà un motivo per cui i Pooh hanno fatto la reunion allargata e una ventina di concerti finali, no?
Gli U2 o iuciù per quelli che chiamano i R.E.M. ariém, sono da sempre considerati una band da storia del rock, insieme ai vari Sting, Bruce Springsteen e a tutti quei personaggi che nel corso della vita si sono trovati faccia a faccia con potenti, presidenti, santi e navigatori.
In realtà, il quartetto di Dublino non è una vera band ma un meta musical sull’essere rockstar. I primi album da loro incisi suonano new wave, nella più vasta accezione del termine, ma si vede che il loro fine ultimo non è la ricerca musicale bensì la popolarità, che arriva in seguito, con pezzi dedicati a Martin Luther King come Pride (In the name of love). Paraculi, dicevamo.
Le loro canzoni rendono tributo a qualsiasi cosa: l’Irlanda, l’America, il blues, B.B. King, John Lennon, Brian Eno, l’Ave Maria, il Papa, la pace, i diritti umani e la prosperità nel mondo. Neanche Spock augurava così tanta positività. Sono in prima linea contro la droga (Running to stand still, Bad), contro le guerre (Miss Sarajevo con Pavarotti). Il loro inno, il pezzo più famoso del loro primo periodo è Sunday Bloody Sunday, che parla dell’attentato del 30 gennaio del 1972 a Derry, nell’Irlanda del Nord, da parte dell’esercito del Regno Unito contro i partecipanti a una manifestazione. Tutto giusto, ci mancherebbe, ma se la amate non potete criticare i nostri quando cantano i pezzi sociali sanremesi tipo Minchia signor tenente di Faletti o uno qualsiasi di Fabrizio Moro. I loro pezzi più famosi sono tutti delle gran paraculate, non a caso sono stati presi da ispirazione per il modello giovane Coldplay. Ah già, One parla di AIDS, mica cicoria.
https://www.youtube.com/watch?v=msqXt0JEkyA
Pensate poi a tutte le cover che gli U2 hanno fatto nel corso dei loro concerti. Si va dai Pink Floyd ai Rolling Stones, fino ad arrivare agli ABBA, con tanto di apparizione di Bono nel loro documentario. Agli U2 piacciono tutti, l’importante è che abbiano successo o che siano contestualizzati all’interno di operazioni di marketing efficace.
Fortunatamente è un po’ passato il tempo in cui Bono appariva dappertutto, era un giorno sì e l’altro pure sui TG a discutere di politica coi Presidenti. È stato a causa della sua ispirazione se Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù hanno scritto Il mio nome è mai più, ricordiamocelo.
Nella loro carriera hanno anche compiuto gesti di eroismo, come quello di aiutare gli Eagles of Death Metal a volare via da Parigi dopo il Bataclan, per poi suonarci insieme, sempre per il discorso di non sfruttare le tragedie. A volte viene da pensare che il loro manager sia Emilio Fede.
Come suonano gli U2? Fanno il compitino, basta che si senta Bono. La tecnica non è necessaria se vieni dal post punk, e infatti i quattro elaborano uno stile di sperimentazione da discount che vede il batterista Larry Mullen Jr. colpire più tamburi possibile per canzone, in nome di una perdita di dinamica che rilassi e che possa essere ascoltata anche da chi non è avvezzo al ruock. Adam Clayton è rimasto fermo alle prime tre lezioni di basso, quelle in cui ti spiegano le toniche con la sinistra e andare a tempo con la destra, tanto basta. The Edge, un vero mistero. C’è un documentario su Netflix in cui si parla di chitarra elettrica tra tre luminari: Jimmy Page, Jack White e The Edge. Quando si mettono a jammare insieme, il povero U2 sembra venir fuori dalla Corrida di Corrado, poco prima che il pubblico inizi a suonare i campanacci e che emetta ululati da lupo.
https://www.youtube.com/watch?v=0ELpJqa4PaY
Dicevamo, The Edge: per andare dietro all’ammorbamento base del batterista, praticamente suona le note delle indianate intorno al fuoco d’estate con più effetti speciali della Nasa, che riescono a creare un tappeto sonoro che possa esaltare la voce di Bono Vox, persa purtroppo da almeno 15 anni, che era il vero punto di forza dell’operazione commerciale.
Un’ugola muscolosa che farebbe esclamare anche mia madre “ma com’è bravo lui”, unita a quello sguardo dolce da cane bastonato un po’ alla Robin Williams, anch’esso innocuo agli occhi dei genitori più conservatori, che negli anni ’80 fanno degli U2 la loro band preferita.
Uno sguardo che Bono Vox nasconde da decenni sotto occhiali sempre più brutti per delle sponsorizzazioni più palesi di quando in un film vedi il protagonista prendere un pacchetto di sigarette a favore di camera. Bono dice di soffrire di glaucoma e noi non siamo nessuno per contraddirlo, in ogni caso ha cambiato più montature di Marco Mazzocchi sotto i Mondiali.
Permettetemi un off topic del tutto personale: che cazzo ha in testa The Edge? Da quando ha perso i capelli, che non possono più raccogliersi nella treccia stopposa dei tempi di Rattle and Hum, ha messo la papala di lana e non se l’è tolta più, neanche nei concerti a 40 gradi d’estate. Cosa nasconde? Non sarà certo un covo di insetti, un virus, o il cervello molle degli alieni degli anni 50. Semplice calvizie? Allora si mostri, maledizione. Non sarà la fine del mondo se una rockstar perde i capelli, ma perdurando col nascondismo fa diventare la cosa grottesca, che è un po’ quello che è avvenuto al cantante degli Scorpions.
Alla fine, un’ottima metafora della loro evoluzione è ben rappresentata dal palco del PopMart Tour: un mastodonte kitsch con un maxischermo di 700 metri quadrati, sormontato da un arco pericolosamente simile al logo di McDonald’s alto 33 metri. Ti immagini di veder uscire Beyoncé, i ballerini e i guest rapper in uno show tutto improntato sui glitter e sullo swag, invece sale sul palco una rock band che suona il greatest hits di diritti umani, di pace nel mondo e di altri argomenti cari a Red Ronnie. Risultato? Una pacchianata fuori misura, una masturbazione allo specchio di cui la musica è un fattore marginale.
Ecco il perché di un gigatour di revival negli stadi per suonare l’album con With or without you e I still haven’t found what I’m looking for, che in ogni caso hanno sempre suonato ai concerti. Mica per fare i soldi, di quelli ne hanno più di tutti. Per mostrare alla gente che sono sempre una band e non un brand. Con un tour paraculo con Noel Gallagher di spalla, purtroppo senza Pavarotti, Madre Teresa, Gorbaciov o Zucchero, che non si capiva mai ma era sempre lì nel mucchio di quelli che contano.
Poi ci sarebbe un video di Bono con Renzi che parla di Expo e fame nel mondo, ma davvero per oggi potrebbe essere troppo. L’ultima precisazione: a chi pensa che gli U2 siano stati un grandissimo gruppo fino all’album Pop, occorre ricordare che proprio quest’anno quell’album compie 20 anni. Da lì in poi, la musica non è pervenuta.