Musica
di Mattia Nesto 1 Marzo 2021

Piccola e intima guida per abituarsi alla fine dei Daft Punk

Dal 1993 ad oggi Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo non hanno mai smesso di sfornare canzoni immortali. Ma forse, in fondo, la fine del duo francese è stata la conclusione migliore per tutti

Ci sono alcune cose che nella vita sono assiomi, architravi dello scorrere del tempo che, se mutano, cambiano o finiscono, rischiano di mandare tutto in vacca: la cronica inadeguatezza della Juventus in Champions League, la bellezza di ogni gioco di Zelda oppure ancora l’eterno imbarazzo nel guardare una trasmissione di approfondimento politico su Mediaset. I Daft Punk ecco, erano proprio una costellazione del mio e del vostro cielo: stavano là in alto, magari un poco nascosti negli ultimi anni dalle luci di altre stelle, ma insomma, c’erano sempre.

Eppure da questo momento in poi non è più così. Subito, appena la notizia ha iniziato a circolare, la frase che con maggiore frequenza riccoreva tra i post social, nelle parole commosse pronunciate da qualche streamer o speaker radiofonico, era sempre la stessa: “Con la fine dei Daft Punk è finita la mia adolescenza”. Un pensiero logico, sicuramente sanguigno, ma con una buona dose di verità se si considera il fatto che dal 1993 a questa parte Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo non hanno mai smesso di sfornare canzoni immortali. Eppure, e lo sapete meglio di me, ridurre i Daft Punk a un “mero” epifenomeno musicale sarebbe davvero limitante.

Il duo francese infatti è stato una specie di stele di Rosetta per tradurre l’evoluzione della cultura pop dagli anni Novanta a questa parte, un immenso calderone magico in cui venivano mescolati il funky sporco degli anni Settanta con le immagini sinuose degli anime degli Ottanta, quel gusto sbarazzino della dolce Francia dei Sessanta con il giusto tributo a ogni possibile ambito geek. Robottoni e tecnologia, discoteca e palpiti amorosi, fiabe punk e piramidi di luce, chip e futuro. Seguendo sempre  una linea propria e assolutamente personale, i Daft Punk hanno saputo dimostrare a tutto il mondo che “la musica non suonata” non solo è vera musica ma -come abbiamo imparato nel 2007 a Torino al parco della Pellerina, durante l’Alive Tour in cui abbiamo toccato con mano, cuore e orecchie lo zeitgest- spesso supera in qualità la sua cugina analogica.

Sono triste? Certo. Avrei preferito che questo giorno non arrivasse mai? Forse. Già perché se è vero che con lo scioglimento dei Daft Punk finisce la mia e vostra infanzia, è anche vero che, prima o poi, avremmo dovuto accettare questo momento. Il termine Adulto deriva dal latino adulescere, ovvero crescere. Oggi siamo cresciuti, e crescere significa anche comprendere quando è tempo per finirla con qualcuno o qualcosa. Crescere necessità sofferenza,  la stessa sofferenza che mi sta affliggendo all’idea di non poter più aspettare un nuovo album dei Daft Punk, scoprire il prossimo film marchiato dalla loro colonna sonora, vedere il loro nuovo strabiliante videoclip e scovarne le citazioni. No, oggi cresco io e crescete voi, togliamo il casco argentato con cui per 28 anni ci siamo coperti il viso. Oggi non smetteremo di ascoltare i Daft Punk, ci mancherebbe altro, e quando vedremo la prossima ragazza di cui ci innamoreremo capiremo che è quella giusta perché nel momento in cui la baceremo risuonerà nella nostra testa Digital Love.

Un nuovo mondo ci aspetta . Un nuovo mondo senza i Daft Punk.  Dopo il dolore e la sofferenza, mi sono asciugato le lacrime, ed ho trovato conforto nelle parole di Biagio Marin: “Fa che la morte mia, Signor, la sia comò ‘l score de un fiume in t’el mar grando“. O, se preferite, Hold On, If Love Is The Answer Your Home.

 

 

 

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