Japanese Breakfast – Sable
La voglio fare semplice semplice, quando mi avventuro in un videogioco sono due le cose a cui guardo di primo acchito. L’estetica, non la grafica, e il comparto sonoro, non le musiche. Per Sable – una specie di Nausicaa della Valle del Vento unito a un Dune pensato da Moebius- ho fatto lo stesso, e ne sono rimasto incantato (al netto dei tanti problemi di quel videogioco). Bene, fatta questa premessa vi posso dire che il lavoro compiuto dai Japanese Breakfast è semplicemente eccezionale. Con canzoni come Better the Mask la band coreano-americana è stata in grado di rendere le struggenti atmosfere del videogioco, un mondo in rovina e solitario, schiavo ma anche debitore delle sabbie di un deserto perenne della sua silenziosa maestosità. Un disco etereo e pieno di cose belle, di arrangiamenti giusti e di momenti da grande orchestra che lasciano con il cuore sospeso. Questo è, senza ombra di dubbio, un disco della settimana “più della settimana” di altri.
Mattia Nesto
Boys Noize – +\- (Polarity)
Le parole da spendere quando si parla di uno dei più grandi artisti “elettronici” (con tutto quello che il macrogenere “elettronica” possa comprendere) degli ultimi 15 anni risultano sempre superflue. Boys Noize è l’enfant prodige dell’house tedesca poi esportata in tutto il mondo, un produttore (un altro termine assolutamente riduttivo), che è riuscito ad imporre una propria firma sonora in uno stile variato ed eterogeneo. Uno stile maturato anche remixando capolavori di band e cantanti dall’estrazione completamente diversa, un mix di influenze spesso opposte che nel suo 5 lavoro in studio trovano uno sfogo sonoro coerente ed ammaliante. Dalla tecnho di Close ai synt di Greenpoint, dal funk di Afflection al featuring con il rapper estone Tommy Cash. Polarity, non è un nome scelto a caso.
Marco Beltramelli
Injury Reserve – By The Time I Get To Phoenix
La morte di Stepa J. Groggs risale ormai a più di un anno fa. Gli Injury Reserve hanno affrontato la ferita più dura che possa affliggere una crew di artisti, e sono tornati con un nuovo caoticissimo disco. By The Time I Get To Phoenix tuttavia è stato interamente composto prima della dipartita di Groggs, quando la pandemia era ancora una voce nell’aria. Sperimentale e spietato, è un disco di rap fangoso che invischia le orecchie di chi ascolta tra i beat che si susseguono, sempre più angoscianti. L’alternative hip-hop è stato ormai superato, smembrato del tutto. Siamo entrati nel terreno del “Tom Waits hip-hop”, come testimonia Smoke Don’t Clear, traccia da incubo che andrebbe vivisezionata e studiata. Immaginarsi il futuro dei ragazzi di Tempe è difficile. Ma la loro storia fino ad oggi è stata grande, e questo saluto al compagno di viaggio ne è nuova testimonianza.
Gabriele Vollaro