C’è chi dedica canzoni a Baggio e chi ad Ayrton Senna, chi a Fernando Alonso e chi a Marco Pantani. Caratteristica comune: campioni, senza grossi dibattiti a riguardo. Poi c’è chi sceglie figure che non hanno collezionato tanti attestati sulle pareti di casa, ma in compenso hanno raggiunto un livello di epica e mito da non sottovalutare. Primo della fila di questa schiera, simbolo assoluto di una intera categoria è Dario Hubner, cui Calcutta ha dedicato un pezzo nel nuovo album Evergreen, pubblicato il 25 maggio da Bomba Dischi.
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Ma chi è Dario Hubner e perché Calcutta gli ha intitolato una canzone? Se si seguiva il calcio negli anni ‘90, la domanda può sembrare abbastanza ridicola, ma ormai è passato parecchio tempo da quando questo attaccante di origine triestina segnava a raffica, arrivando anche a vincere il titolo di capocannoniere della serie A. Centravanti, ma centravanti di provincia: Cesena, Brescia, Piacenza e poi un’infilata di squadre di categorie inferiori, fino al ritiro a 44 anni con la maglia del Cavenago d’Adda, provincia lombarda, in una stagione segnata anche da un’espulsione per bestemmia perché “lo stadio era vuoto e s’è sentito tutto”. È la giustificazione data dallo stesso Hubner in un’intervista alla Gazzetta, la stessa intervista in cui ammette candidamente di continuare a fumare un pacchetto di sigarette al giorno, la stessa quantità che bruciava quando dominava l’area di rigore.
Bomber di provincia, la prima squadra in cui si mette in mostra è il Cesena: numero di gol in costante crescita fino al titolo di capocannoniere di serie B nel 1996. Nel frattempo, si è già portato a casa il soprannome di Bisonte, o Tatanka, con riferimento a un wrestler di quegli anni.
La vera consacrazione arriva però con la maglia del Brescia, dove gioca accanto a Roberto Baggio. Prima giornata del campionato 96/97: a San Siro c’è Inter-Brescia e tutti gli occhi sono per Ronaldo, appena arrivato dal Barcellona. A sbloccare il risultato, però, è proprio Dario Hubner: stop in area e girata nell’angolo alto, con Pagliuca battuto. L’Inter poi la ribalta con una doppietta di Recoba, ma gli applausi sono anche per lui, all’esordio in Seria A all’alba dei trent’anni.
Resta a Brescia per quattro anni, prima di andare a Piacenza, in quella fase di carriera in cui un attaccante fatica a imporsi. Non Dario Hubner, che nel 2002 mette a segno 24 reti e vince la classifica marcatori a 35 anni: nessuno ci era mai riuscito prima.
Tutto questo fumando e bevendo, con un’attitudine che non si sarebbe mai potuta sposare con la permanenza in una grande squadra: da capocannoniere è andato vicino al passaggio al Milan, con una settimana di tournée estiva, l’unica di tutta la carriera in cui, per sua stessa ammissione, non toccò alcol. Non bastò e Dario Hubner tornò a Piacenza, per l’ultima stagione ad alto livello prima di quasi altri dieci anni a girovagare tra squadre del nord Italia in categorie inferiori.
Una carriera da protagonista assoluto, ma sempre su palchi da seconda tournée: “Ho avuto un’unica sfortuna – raccontava un anno fa al Corriere di Brescia in occasione dei 50 anni – ovvero condividere la scena in Serie A con i centravanti migliori al mondo. Dicono di me che fumavo e bevevo la grappa, non l’ho mai nascosto, ma a mezzanotte ero a letto e alle sette del mattino portavo mia figlia a scuola. Ero più professionista io o qualche mio compagno che chiudeva le discoteche?”
Un personaggio che sembra lontanissimo dall’immagine dei calciatori del presente e per questo perfetto per una canzone di Calcutta, per l’orgoglio di rivendicare il proprio percorso, il proprio punto di partenza: “quello che ho ottenuto non me lo ha regalato nessuno, ho scalato le categorie facendo gol in tutti i modi”