Cassadritta, il nuovo lavoro di Roberto Grossi, oltre a essere un fumetto molto impattante sin dalle prime scene grazie al tratta grafico immediatamente riconoscibile, è anche un importante documento storico di una stagione che, almeno in larga misura, è terminata. Stiamo parlando di quel periodo che comprende i primissimi anni Novanta sino alla prima metà degli anni Dieci in cui l’ideazione, l’organizzazione (spesso illegale) e la partecipazione ai rave non era semplicemente un modo per “strafarsi e danzare fino all’alba” quanto (anche e soprattutto) un atto politico.
Come ci insegnano formidabili pagine come Gabber Eleganza la cultura dei rave era una filosofia di vita, una vera e propria volontà politica volta a svelare le convenzioni sociali prestabilite, sovvertendole in nome di un’attitudine più vera e lanciando una sorta di nuovo umanesimo musicale che ci spingeva ad abbracciare le nostre pulsioni naturali più profonde. Questo concetto, che va a braccetto con i bpm sparati a 220, è a più riprese ribadito dai protagonisti di Cassadritta che, pur essendo presentati quasi sempre come delle macchiette (l’autore non si preoccupa più di tanto di esplorare le storie, i legami con le famiglie o le loro professioni) hanno modo, tempo e occasione di lanciarsi in ragionamenti veramente profondi.
Forza! Ora è arrivato il momento di togliere il coperchio – Quale coperchio? – Il coperchio che copre questa città di macerie. Questa gigantesca pentola a pressione dimenticata sul fuoco a bollire…piena di rabbia covata, di frustrazioni represse, di costrizioni subite. Togliamo il coperchio, facciamoli ballare!
Avrete compreso il forte impatto sociologico di alcuni discorsi, ma non è tutto. Cassadritta tratteggia, con la rapidità e la decisione del segno ricordata poco fa, un preciso contesto storico. Come si legge nelle pagine finali, in Cassadritta si racconta di un mondo ben specifico, ovvero la periferia romana dei primi anni Novanta, una periferia non ancora contrassegnata/ devastata da grandi magazzini, centri commerciali e sale bingo quanto una grande terra incolta punteggiata qua e là da capannoni più o meno fatiscenti simbolo di timide e fallite attività commerciali all’ingrosso. In questa terra di nessuno, si muovono ragazze e ragazze “nati vecchi”, senza futuro, costretti in un destino di perdenti per avere avuto in sorte la nascita in quei luoghi. Eppure i personaggi di Cassadritta non ci stanno.
Proprio in virtù di quel senso di ribellione sociale e culturale, i nostri ballano e esplorano le droghe sintetiche non soltanto per il gusto di sballarsi, ma anche e soprattutto per sotrarsi al destino imposto da un mostro (le convenzioni sociali) da combattere. Per lo spazio di una notte, o forse anche di un mattino, quelle ragazze e quei ragazzi periferici a tutto, alla vita, al lavoro e al riconoscimento sociale diventano il centro di tutto, cullati e trascinati dall’onda sintetiche dei bpm sparati dalle casse a tutto volume. Che cosa è rimasto di quel tempo oggi? Forse, nel mondo della musica, certe sonorità e un certo immaginario legato al vestiario dei primi Duemila che sta tornando, ma poco altro. Con la lettura di Cassadritta ci piacerebbe immaginare che molti di voi riscoprano il gusto per ballare e stare insieme, riunirsi attorno al falò della musica come atto politico non solo ludico, come manisfestazione ancestrale della più umana delle pulsioni. Noi crediamo profondamente in tutto questo e se avete dubbi ci trovate sottocassa.