“Sono stanca di essere in lutto per l’umanità, pretendere di non essere parte del problema non è totalmente onesto”. Anohni, il volto e la voce degli Antony and the Johnsons, esce con un nuovo album che non lascia spazio ai compromessi. Hopelessness (nei negozi dal 6 maggio), nato dalla collaborazione con i produttori di musica elettronica Oneohtrix Point Never e Hudson Mohawke, è un disco dance, dall’energia tagliente e vibrante, dove suono elettronico e testi estremamente politicizzati si incontrano, con l’obiettivo di risvegliare le coscienze sui temi della sorveglianza, della guerra con i droni e dell’ecocidio. Una posizione che traduce il desiderio di esporsi e di cambiare, prima di tutto a partire da sé stessi. Come ci ha raccontato in questa intervista.
Nel video di Drone Bomb Me, ci viene presentata una splendida Naomi Campbell, mentre canta una canzone dalla prospettiva di una bambina di nove anni, la cui famiglia è stata uccisa da una bomba. Penso che la presenza di un’icona come Naomi intensifichi profondamente i nostri sentimenti, nella distanza che si apre tra il contenuto e la sua bellezza. Che cosa desideravi evocare o provocare con questo video?
Volevo portare all’attenzione pubblica alcuni tematiche che riguardano le politiche dell’amministrazione americana e la rabbia che ho provato di fronte alla sua ripetuta mancanza di responsabilità nei confronti dell’Afghanistan, del Pakistan, dell’Ambiente, delle minoranze e dell’Altro. Questo rifiuto di considerare le ripercussioni etiche delle proprie azioni, non poteva più essere taciuto. Ho scelto Naomi per comunicare il mio messaggio perchè ho pensato che se l’avessi fatto con il mio volto, le persone avrebbero prestato più attenzione alla mia identità che al significato. Lei invece rappresenta la donna in senso universale e nel video veste i panni di un oracolo.
L’uscita del singolo è stata accompagnata da alcune tue affermazioni relative al bisogno di scrivere canzoni “dai denti affilati” esattamente come i tuoi pensieri. E infatti l’album è molto politico, tratta temi legati al capitalismo, alla sorveglianza, alla violenza. Incontriamo titoli come Execution, Crisis, Violent Men, Why did you separate me from the Hearth…
In passato ho realizzato numerosi album che illustravano la mia vita interiore. Progressivamente però il discorso si è spostato sulla mia percezione del mondo. Ero abituata ad esprimere una certa disperazione nelle mie canzoni, di cui ad un tratto mi sono stancata. Ho iniziato a pensare che la mia posizione fosse troppo passiva e che ci fosse bisogno di più energia, sia nei contenuti, sia nella musica. Così ho “affilato” le parole e ho scelto la musica dance ed elettronica, per esprimere un punto di vista più forte e vibrante.
Hopelessness rappresenta anche una nuova identità. Da Antony Hegarty ad Anohni. Hai appena affermato di aver scelto un nuovo modo di esprimerti. Il tuo percorso artistico e la tua vita personale si sono influenzati reciprocamente?
Forse è accaduto, ma sicuramente è stato inconscio. Certamente ho fatto un percorso per superare le mie paure, che si è tradotto anche in un nuovo nome, che non rappresenta però la certezza dell’acquisizione di una nuova identità. Credo che sia piuttosto un modo per trovare il coraggio di esprimere, in maniera più esplicita, come vorrei che gli altri mi vedessero e si rivolgessero a me. Per molto tempo ho accettato di essere chiamata come un uomo, anche se non mi ero mai definita così, essendo transgender, ma conservavo timidamente il bisogno di essere avvicinata come una donna. Ho lasciato che questa menzogna fosse parte della mia vita, fino a quando sono arrivata a un punto in cui non potevo più nascondere chi ero e chi sono.
Come nella poesia o in buona parte dell’arte visiva, nelle tue canzoni i sentimenti diventano immagine, racchiudendo un forte potere simbolico. Cosa succede quando scrivi?
Si tratta di un processo automatico, dove non interviene il pensiero. Mi lascio semplicemente avvolgere dalle immagini e cerco di trovare le parole giuste per esprimerle. Anche durante le perfomance l’immaginazione gioca un ruolo importante. Vedo accadere delle cose mentre canto e non c’è distinzione tra me e le immagini che mi scorrono a fianco.
Nei tuoi testi c’è una forte presenza dell’amore, in tutte le sue forme. L’amore può essere pieno di speranza, tragico, penoso, disperato, gioioso. Perché è importante per te?
Per me l’amore è come la creatività, sono due energie che possono essere piuttosto volatili, quasi distruttive in un certo senso. L’amore è un termine più generale per identificare l’apertura del cuore. Si può perseverare nella paura, tenendolo chiuso e lasciandosi consumare. Ma cosa succederebbe se spalancassimo le sue porte? Sarebbe come essere invasi da un oceano. Decidere di non aprirlo, significherebbe privarsi della gioia di quel momento. Il rischio che ci assumiamo può portare ad un’emozione estremamente intensa, esilarante e pericolosa. Credo che affrontare le paure possa diventare un punto di forza, per evolvere nella capacità di scelta.
In Execution sostieni che l’esecuzione sia un “sogno americano”. È molto interessante questo ribaltamento, perché l’America ha un fascino ambiguo, che si manifesta anche attraverso la corruzione del suo sogno. Cosa volevi comunicare con questa canzone?
Execution parla e contemporaneamente mette in discussione il sogno americano, a partire dalla sua influenza e dalla mancanza di rispetto nei confronti dell’umanità. Non voglio dire che questa modalità di comportamento sia prerogativa esclusiva dell’America, ma sicuramente quest’ultima è una portavoce significativa di questo approccio maschile e brutale allo spazio. Schiavizzare, dividere e colonizzare, senza comprendere che l’Altro è come te. Obama che soffre per le violenze interne e autorizza le campagne in Afghanistan e in Pakistan, che cosa rappresenta per il paese e per il mondo? Siamo tutti implicati nel sistema occidentale di valori e azioni, in questa mancanza di sensibilità verso la Natura e l’alterità.
In Marrow ripeti più volte che “siamo tutti americani”. Se è vero che l’America e la sua storia sono così piene di odio, frustrazione, scontri, perché le persone continuano a desiderare l’appartenenza a questo paese?
L’America da sempre rappresenta un sogno di opportunità, libertà individuale, possibilità di trovare una propria collocazione spirituale. I valori su cui è stata fondata sono un modello per il mondo e per i diritti umani. Ma esiste una grande differenza tra gli ideali e la loro messa in opera. Chi raggiunge le sue città, lo fa con la segreta speranza di migliorare la propria vita e di avere successo, senza considerare che il moderno sistema capitalistico è stato pensato e costruito per stritolare la middle class: per sottrarle il benessere e la salute mentale. Il sogno americano e la realtà americana sono due cose completamente differenti. Per gli afro-americani vivere in questo paese è stato per decenni una disperazione più che un’opportunità. Oggi è in atto una sorta di lotta per la sopravvivenza, perché la maggior parte delle persone non si possono più permettere di vivere come i loro genitori o i loro nonni, l’accesso alla casa è diventato un problema radicale e c’è questa rabbia repressa che percorre la società, che nasce dalla frustrazione del non sapere a chi assegnare la responsabilità. Ci si colpevolizza a vicenda, in una guerra di tutti contro tutti, laddove si dovrebbe solo colpevolizzare il governo, per un abbandono lungo trent’anni. Le famiglie fanno debiti per educare i figli e la temperatura del malcontento aumenta progressivamente, dentro e fuori i confini del paese. Il sogno americano è diventato un furto, in cambio di un benessere che non si realizza e di risorse che non vengono restituite al mondo e alla terra.
Che tipo di futuro desideri e ti aspetti?
Immagino un futuro ricco di speranza. Voglio vivere in un mondo dove la diversità sia protetta. Voglio un governo femminile, voglio che l’archetipo maschile e quello femminile si scambino i ruoli di potere, voglio che l’archetipo maschile torni al centro della famiglia e che quello femminile esca dalle sue mura. Voglio tornare a vedere il futuro, perché mi accorgo che le persone vivono in questa mitologia post-apocalittica, dove si avverte la persistenza di un collasso impossibile da sopportare. Dobbiamo ritrovare la connessione perduta col principio della famiglia, nell’umanità e con la Natura. Credo fermamente che la creazione sia il Paradiso, che il Paradiso non sia Altrove.
Perché allora l’album si intitola Hopelessness?
Quando l’ho composto mi sentivo senza speranza. Era una condizione che riguardava il mio approccio passivo e l’album è stato un tentativo di risposta. Al suo interno ho insistito molto sull’idea di complicità, mi sentivo parte del problema. Non volevo puntare il dito contro il capitalismo, le corporation, l’America e tutti i paesi che credono nel principio del “dividere e combattere”. Sono partita da me stessa, cercando di comprendere dove e perché il mio comportamento potesse essere complice nei confronti del sistema. In Hopelessness manifesto il punto di vista di una donna che riconosce di aver vissuto nella menzogna. Hopelessness è un primo segnale di un profondo e sentito impegno politico e umano.
Credo che l’abbandono del principio maschile sia un percorso molto lento. Ne siamo veramente capaci?
Ci vuole tempo, ma non bisogna dimenticare che ogni uomo viene dal corpo di una donna. In America The Occupy Movement ha rappresentato un grande passo, perché le persone hanno realizzato che la loro relazione col sistema era molto diversa da come si aspettavano. Il movimento è stato messo a tacere rapidamente, ma è stato un indicatore importante, perché ha suggerito che un cambiamento di massa fosse possibile. La stessa cosa vale per la presa di coscienza del potere femminile. Le donne devono capire che sono state divise e conquistate e che ricercando una connessione profonda con sé stesse possono fare una grande differenza.