Se ci immaginiamo una notte al buio, in una qualsiasi provincia nebbiosa italiana dei primi anni ’90, lontani dagli schermi degli smartphone e dalla ricerca spasmodica del wi-fi, avremmo di sicuro bisogno di qualche punto di riferimento per orientarci, per muoverci dal bar alla ricerca di qualcosa di diverso, che dia un senso alla serata.
Nord Sud Ovest Est degli 883 ha rappresentato meglio di qualunque altro album la bussola per decodificare i sogni, le aspirazioni, le paranoie e le disillusioni di una generazione cresciuta ai margini delle città in cui sembrava accadere davvero qualcosa e sarà il protagonista della puntata di Credits che andrà in onda su Real Time il 1° dicembre alle 21.10, un approfondimento sulla produzione di uno degli album italiani più popolari di sempre, presentata da Carlo Pastore con ospiti Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni.
Chiunque sia stato adolescente negli anni ’90 italiani, si è trovato di fronte il mistico dubbio sul perché all’estero fossero famosi i Nirvana e qui da noi Paolo Vallesi. Magari la depressione generazionale era pure la stessa, lo stile proprio no. Eppure due ex compagni di liceo di Pavia, Max Pezzali e Mauro Repetto, dopo l’incontro con Cecchetto, e grazie alla produzione di Peroni, hanno inventato un suono e un linguaggio immediatamente riconoscibili dai loro coetanei.
Siamo nel 1993, il loro primo album, Hanno ucciso l’Uomo Ragno è uscito l’anno prima e ha avuto un successo strepitoso, 600mila copie vendute. Il suo titolo enigmatico era piuttosto evocativo per i nerd, ma l’Uomo Ragno in questione era di fatto la purezza adolescenziale, uccisa dal mondo degli adulti.
Nel secondo album, Nord Sud Ovest Est, la scrittura dei due si vena di nostalgia, quella profetica che poi sarà la grande protagonista della vita dei millennials, nati col peccato originale addosso del rimpianto di tempi neppure vissuti. Quella dei due pavesi è una presa di coscienza su ciò che la vita può fare a dei ragazzi non abituati alla vita.
Quell’insieme di routine in cui si rivede perfettamente il ragazzo di provincia, che sogna costantemente la città senza andarsene mai dal paese, la cui via crucis quotidiana è quella della cameretta, della sala giochi, del bar con gli amici, del benzinaio, dei gesti piccolo borghesi come la cura dell’auto che porta direttamente alla speranza della gnocca del sabato sera in discoteca, per poi tornare, come in una partita a Monopoli truccata, alla prigione della domenica, per ricominciare tutto da capo.
Come hanno fatto due ragazzi come tanti a vendere milioni di copie, non è un gran mistero. La loro musica coniuga le più geniali truzzate da discoteca del tempo con le astuzie della canzone italiana, decontestualizzate e contaminate con un sacco di suoni, che tirano dentro un po’ tutti. Ma la particolarità che li rende davvero unici è quella dei testi.
Max e Mauro parlano di provincia, perché se Milano fosse New York, Pavia sarebbe il New Jersey, quello che nei film è eternamente inferiore e le sue storie possono essere tranquillamente traslate in ogni luogo in cui ci sia la voglia di andare via.
Ma allora perché certi rituali noiosi alla morte oggi ci mancano così tanto? Potrebbe essere semplicistico ricondurre tutto alla mancanza della gioventù perduta o al tempo in cui c’erano meno responsabilità, anche se questi due fattori giocano il loro ruolo.
Piuttosto diciamo pure che certe routine erano proprio belle, senza se e senza ma. La felicità di battere un boss in sala giochi con tutti i tuoi amici attorno, le estenuanti partite di biliardino a gironi come la Coppa dei Campioni, il cinema la domenica pomeriggio per prendere spunto dai vari Rocky e Indiana Jones e poi la macchina piena per andare a ballare, per vedere di limonare e anche quando le cose andavano male, cioè quasi sempre, riderne con gli amici, sperando che una roba così non cambi mai. Ecco, queste banalità confortanti, gli 883 le hanno rese pop, fighe. Hanno elevato la vita di un ragazzino sfigato in icona di un’era coi suoi vizi e le sue virtù.
Sì perché, anche se gli 883 nel 1993 hanno entrambi più di 25 anni, le loro sono storie poco più che adolescenziali. D’altra parte si sa che i ragazzi maturano più tardi rispetto alle ragazze. Queste ultime, nei loro testi sono quasi irraggiungibili, muse dantesche o noie mortali, che non devono interferire con gli amici della compagnia, di solito tutti maschi.
Il maschio alfa del gruppo non è mai Pezzali, il cantante, ma tale Cisco, una specie di signor Wolf di Pulp Fiction che risolve i problemi, che è saggio e che sa come affrontare le avversità, nonostante sia sempre scazzatissimo.
Le canzoni del loro secondo album parlano tutte di evasione e di ricerca di se stessi, in un modo o nell’altro. In questo senso la canzone Nord Sud Ovest Est è emblematica, coi suoi suoni sudamericaneggianti e il testo che parla di un viaggio per trovare la musa perduta, o forse la propria identità perduta.
“Nord sud ovest est, e forse quel che cerco neanche c’è. Nord sud ovest est, starò cercando lei o forse me?”
La pesante eredità degli anni ottanta e la voglia di smascherare i loschi figuri che affollavano la televisione, sta tutta nel testo de Il pappagallo, talmente profetico che funziona molto bene anche in chiave social 2016.
“Il pappagallo parla anche di ciò che non sa, ti guarda dallo schermo e una lezione ti dà. Il pappagallo sa cosa è giusto per te, lui sa di non sbagliare è troppo pieno di sé.”
Un altro pezzo di critica sociale è Ma perché, in cui si parla dell’antica legge del farsi i cazzi propri e del non giudicare mai un libro dalla copertina. Altro dogma attualissimo.
“Se vedi una che in meno di un mese esce con due diversi è una troia, è una troia.”
Ecco, parliamo di ragazze: nella loro opera omnia, gli 883 non sono mai l’Uomo Ragno, ma Peter Parker, il ragazzo un po’ defilato, non troppo socievole che non pensa mai di meritarsi quello che di bello gli può riservare la vita, specialmente quando si parla dell’altro sesso. Grazie alla loro esperienza, per anni abbiamo messo i tappetini nuovi e l’Arbre Magique nella Uno diesel per fare colpo sulla tipa che per noi era un mito.
“Sono anni che ti vedo così irraggiungibile.”
La stessa tipa che una volta conosciuta può risultare addirittura simpatica, è la stessa che può farti innamorare come non è successo mai, e gli 883 lo sanno bene. Come mai parla proprio di un ragazzo chiuso nella sua cameretta, alle prese con quel sentimento che non può rivelare ai suoi amici che lo credono quasi un Dio, perché a quell’età, non innamorarsi mai è da eroi.
“Ma chi sarai per farmi stare qui? Qui seduto in una stanza pregando, per un sì.”
Dopo aver combattuto una quotidiana guerra con la razionalità ed essersi lasciato vincere dal sentimento, il ragazzo di provincia torna agli amici di un tempo e alla serata alcolica alla ricerca di una festa con le gnocche, che però per una serie di avversità diverrà una chimera, il simbolo stesso dell’impossibilità dell’evasione.
“Rotta per casa di Dio, ma chi la caga la festa? Rotta per casa di Dio stanotte non l’abbiam persa. Tutti con in mano birra e Camogli noi, senza fidanzate, troie né mogli, quattro deficienti a fare cazzate come non succedeva da un pacco di tempo.”
La nostalgia canaglia degli anni d’oro e la necessità del supporto degli amici, la si trova anche in Non non ci spezziamo, che aderisce in pieno a una certa legge del branco alla quale più o meno abbiamo obbedito tutti durante l’adolescenza. Tra l’altro, è un rap.
“Non ci spezziamo, non ci pieghiamo, noi continuiamo ad esser scemi così. Non ci spezziamo, non ci pieghiamo, noi nonostante tutto siam sempre qui”
Gli amici di sempre sono anche quelli che possono deluderti, che possono prendere strade diverse dalla tua e in provincia, con la noia che esce anche dai muri, prendere quella sbagliata è un attimo. Una storia di eroina, di inferno e di rinascita, quella di Cumuli, trattata senza paternalismi ma con una compassione sincera e rara nel mondo della canzone italiana.
“Cumuli di roba e di spade, non ti riempiono quel vuoto lo sai, tanto quello non si riempie mai perché forse fa un po’ parte di noi”
Alla fine del nostro viaggio, parliamo di due pezzi antitetici, dicotomici che costituiscono lo Yin e lo Yang della poetica pezzaliana: Nella notte e Weekend. Il primo va ad analizzare una di quelle serate in discoteca in cui sembra davvero di essere vivi, anche solo osservando la vita altrui.
“In questo regno dove tutto è permesso lasciati andare e vedrai ,che anche se non cambia niente è lo stesso tu ti divertirai.”
Come perfetto contrappasso, gli 883 in un album possono divertirsi al massimo un paio di volte, poi torna all’esistenzialismo da bar di sempre. In questo senso, Weekend è il pezzo più denso di significato di tutto l’album, perché descrive perfettamente la depressione di una domenica di provincia, con l’hangover e il giramento di coglioni per non aver combinato niente in discoteca la sera prima e la sicurezza di non fare niente nemmeno la sera dopo. Qui, il concetto di Monicelli (uno che di pop inteso come popolano e popolare ne sapeva a pacchi) della speranza vista come trappola si sposa perfettamente con l’antica e urbana Legge del Menga.
“Stasera dove si va? Io non posso, domani mi alzo presto, allora si resta qua. E sta per finire un altro weekend, se ne va coi gol in tele il weekend, così poi aspetteremo il weekend convinti che sarà il più bello dei weekend.”
Il milione e quattrocentomila copie vendute rivela la vera importanza di questo album, nato per essere pop e riuscito in pieno nell’intento, che dipana una per una le poche gioie e le tante contraddizioni della vita di provincia, tra l’invidia della vita vera delle città e la voglia di non lasciarla mai, quella maledetta, asfissiante, santa provincia.