Musica
di Sandro Giorello 7 Marzo 2016

15 anni fa usciva Discovery, il miglior disco dei Daft Punk

È il disco più importante della loro carriera e vi spieghiamo perché

Discovery  Discovery fu il secondo album in studio dei Daft Punk

 

Discovery, il concept album di Thomas Bangalter e di Guy Manuel de Homem Christo – i Daft Punk – è stato pubblicato il 26 febbraio 2001 per l’etichetta Virgin Records. È un lavoro bellissimo, divertente, a tratti commovente. Ha spinto altrove l’immaginazione di un’intera generazione: ai tempi non lo potevamo sapere, ma in mano avevamo il disco più importante della loro carriera.

 

7e9323ae-fef0-4f51-8727-5737c227c247 photobucket - I Daft Punk nel 2001

 

We are robot

Insieme a Discovery sono comparsi i caschi e l’immaginario robotico che ha segnato in maniera assolutamente indelebile il percorso sia dei due producer francesi, che di buona parte di tutta la storia musica moderna. Non sono certo i primi a inventarsi la figura del musicista elettronico senza un volto, quello che non sapresti riconoscere in strada, ma ancora oggi ne sono l’emblema più importante.

Non siamo noi ad aver scelto di diventare robot” –  ha dichiarato Thomas Bangalter nel 2007 –  “C’è stato un incidente in studio: stavamo lavorando sul nostro campionatore e esattamente alle 9:09 del nove settembre 1999 il macchinario è esploso. Quando abbiamo ripreso conoscenza abbiamo scoperto di essere diventati dei robot”.

Altrettanto fondamentale in Discovery è la collaborazione con Leiji Matsumoto, l’autore di serie animate cult quali Capitan Harlock e Galaxy Express 999. Tutti i video dei cinque singoli  – One More Time, Aerodynamic, Digital Love, Harder, Better, Faster, Stronger, Face to Face e Something About Us – sono stati creati da lui: astronavi, una band che suona in una stazione spaziale e un gruppo di alieni che vogliono conquistare il mondo. Sono le parti di un progetto molto più ambizioso chiamato Interstella 5555 – The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem, un film d’animazione della durata di un’ora che sarà nelle sale due anni dopo l’uscita di Discovery. Non c’è bisogno di raccontarvi il film, la cosa più importante è che quelle immagini rinforzano l’idea che quella sia una musica arrivata da un altro pianeta. Anche qui: non sono stati i primi a farlo, ma sicuramente il risultato è stato potentissimo ed efficace.

 

 

One more time

Se non avete la minima idea di che musica facciano i Daft Punk dovete pensare ad un tipo di elettronica abbastanza morbida, che può arrivare a punti più aggressivi e techno ma che, di base, vuole giocare con i sample della musica anni ’70, il synth pop ed il soul più romantico. Discovery è il migliore della loro discografia perché ogni elemento è sempre a fuoco, che si tratti dell’assolo tamarro di Aerodynamic, della cassa dritta di Superheroes o del tiro house di High Life; ogni cosa rientra in un discorso coerente e ben equilibrato. Lo ascolterete e riascolterete decine di volte e vi divertirà sempre. Ovviamente contiene pezzi che funzionano anche al di fuori del concept album: One More time, Harder, Better, Faster, Stronger o Face to Face sono singoloni spaccaclassifiche, ma hanno in più il pregio di riportarti sempre in quel mondo fantastico e stellare.

 

 

Robot just want to have fun

La scelta degli ospiti in questo disco è particolare: i due robot hanno deciso di collaborare con alcuni dei producer più importanti per la loro storia personale ma, invece di metterli dietro al mixer, gli hanno fatto fare tutt’altro. Romanthony presta la sua voce per One More Time e Too Long, Todd Edwards canta in Face to Face, DJ Sneak scrive il testo di Digital Love.

 

 

È la stessa cosa che hanno fatto poi, dodici anni dopo, quando hanno chiesto a Giorgio Moroder di partecipare al loro ultimo album Random Access Memory semplicemente mettendosi davanti ad un microfono e raccontando la sua storia. Vuol dire prendere i miti della propria adolescenza – Leiji Matsumoto in testa a tutti – e giocarci. È un po’ come spendere la presunta cifra di 65,000 dollari per farsi costruire i caschi e le tute da robot. È il bambino nella cameretta, alla fine di Interstella 5555. Chi l’ha visto, ha capito cosa intendiamo. Per tutti gli altri, evitiamo lo spoiler.

L’enorme importanza di Discovery è tutta qui: ci ha riportato bambini e ci ha fatto innamorare di una band di robot immaginaria e, da quel momento in poi, noi ci abbiamo creduto davvero. I tour con le scenografie faraoniche, i film Disney o il prestigioso cast dell’ultimo Random Access Memory è niente in confronto.

 

 

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