Questo pezzo è inteso per i nati dopo il 1995, che hanno sentito parlare di grunge dai vecchi-di-quarant’anni che indossano ancora le cicatrici degli anni Novanta: la stempiatura per aver portato i capelli lunghi con la divisa nel mezzo per troppo tempo, il primo tatuaggetto che ormai sembra un livido, un orecchio da cui sentono meno, il mal di schiena ereditato dai tanti concerti sudati, l’avversione per la camicia abbottonata e la passione per le magliette dei gruppi e le felpe col cappuccio. Quelli che hanno provato a suonare in una band che faceva pezzi originali che sembravano sempre quelli dei Nirvana e che hanno fatto sesso la prima volta grazie al nuovo trend che rendeva scopabile il brutto ma tanto sensibile.Se chiedete a loro, non c’è mai stata musica più bella di quella del grunge, e in quel contenitore ci mettono di tutto, anche i Red Hot Chili Peppers, i NO FX e i Faith No More. Tanti di loro si sono fermati ad apprezzare solo i gruppi più famosi dell’epoca, qualche singolone dei Pearl Jam e dei Nirvana, i lenti degli Smashing Pumpkins che manco erano di Seattle, poi una volta hanno ascoltato i Mudhoney ma era roba un po’ troppo caotica e hanno deciso che l’esperimento era da ritenersi concluso. Perché il grunge, specialmente in Italia, non è stato un movimento strettamente musicale.
A ridosso degli anni ’90 i ragazzi non ci capiscono più un cazzo di niente. Sono depositari di un disagio talmente diffuso da non aver avuto riscontro oggettivo nel loro giovane immaginario. I loro genitori nel decennio precedente sono riusciti a comprare casa ed elettrodomestici e auto e le gite fuori porta e le vacanze d’estate e il voto alla DC senza andare in chiesa e il voto dinamico e moderno al PSI e il voto tutto cuore al PCI (alcuni al MSI, per lo stesso motivo) e per i bambini degli Ottanta, la vita è disposta su un tapis roulant che va in una sola direzione, verso la serenità.
Quando è arrivata la mazzata, ed è arrivata bella pesante, i genitori dei futuri grunge sono abbastanza preparati, perché hanno avuto a loro volta genitori che hanno visto la guerra, quella vera che storpia, distrugge, uccide. Allora si rimboccano le maniche e si ripetono andrà tutto bene fino a crederci.
I ragazzi no, perché l’unica guerra che hanno visto da piccoli è quella tra Daitarn 3 e i Meganoidi, tra He Man e Skeletor e quando nei primi ’90 arrivano le notizie dai Balcani sul conflitto del Golfo, fin troppo vicino, quando le ideologie crollano e i soldi iniziano a finire prima del previsto, quando il passaggio dalle medie alle superiori significa prendere un bel po’ di schiaffi e stare zitti, quando i molti che abitano in provincia hanno il primo sentore che non se ne andranno mai via da lì, allora implodono dentro il fischio degli amplificatori e delle urla al microfono.
I giovani disagiati del tempo si dividono in due fazioni speculari e avversarie: chi inizia a suonare o a ascoltare musica con le chitarre e chi va in discoteca. Dei secondi oggi ce ne sono meno, perché quel disagio lo annientavano con le droghe chimiche e a lungo andare quelle hanno presentato il conto. I primi invece il malessere lo respirano così a fondo da diventare, oggi, con moglie e figli, dei vecchi tromboni che ripetono sempre il mantra come la musica che ascoltavamo noi non ce n’è, senza accorgersi che i loro figli vivono un nuovo tipo di disagio che si esprime con una diversa attitudine.
Che poi, indossare il cappellino di lana, i jeans larghi e strappati, una maglietta a caso e la camicia aperta presa al mercatino delle pulci, con pulci annesse, è anche una posa, un codice di riconoscimento tra sfigati fighi. Perché Kurt Cobain, Chris Cornell e Eddie Vedder sono belli, sembrano dei, le ragazze si innamorano di loro e i ragazzi vogliono essere come loro. Chi nasce bruttino di natura, allora esaspera quella qualità. Non è un errore di stampa, essere brutto diventa qualità, se ci sai giocare un po’ puoi tirartela da genio incompreso, da quello più figo perché fa le cose assurde o perché trova il fumo a poco o perché riesce a saltare dal tetto di una casa senza farsi troppo male.
Nelle compilation su cassetta che si scambiano, c’è tutta l’espressione dell’inesprimibile. Quando oltre ai classici spuntano gli Screaming Trees e i Dinosaur Jr., quando la ragazza si toglie il reggiseno su Teenage Riot dei Sonic Youth, quando t’mpalli davanti a MTV a guardare il video di Black Hole Sun dei Soundgarden da fatto, allora ti senti parte di un grande tutto che non sarebbe andato da nessuna parte, ma che esiste, reale, tangibile, profumato com’è di spirito giovanile, di puzza di scarpe sfatte e sudore, di labbra marroni di vino rosso e tosse di sigaretta, di corpi caldi, imperfetti e nuovi da assaggiare, mentre tutto il conosciuto sta per cambiare per sempre.
Storytelling: avevo 19 anni quando è morto Kurt Cobain. Hanno dato la notizia in tv e non me n’è fregato granché sul momento. Solo quando ho messo Something in the Way ho capito che non si trattava di una posa, che era successo davvero. Ma già reputavo i Nirvana commerciali e ascoltavo altro, quindi non ho fatto parte di chi faceva le fiaccolate come quando è morto Lennon o Martin Luther King. Ho compreso solo dopo che quel cadavere biondo per molti era il cadavere della propria giovinezza, ed essendo una cerimonia a cui ognuno partecipa prima o poi, con le sue dinamiche e i suoi modi, allora non c’era proprio niente per cui fare il cinico, il supponente o il superiore.
Borges diceva: “… riflettei che ogni cosa, a ognuno, accade precisamente, precisamente ora. Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell’ aria, sulla terra e sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me…”. Ecco cos’era il grunge: un presente giovane che non esiste più, in cui molti si sentivano vivi. Come potete biasimarli se ogni volta che muore qualche musicista di quel periodo, la vivono come un lutto personale?