Simone Rastelli, in arte Juta, è un fumettista che dall’underground è riuscito ad approdare alle pagine di Artribune con la sua serie Spezzoni di vite drammatiche, che potete trovare in versione integrale sul sito ufficiale.
Aprendo il sito appare una serie di volti di personaggi e cliccando su ciascuno si apre una storia a fumetti. Il sito funziona come un archivio e ogni storia è un racconto circoscritto che vuole arrivare in profondità. Ogni racconto ha un esistenza autonoma, ma i personaggi funzionano come un coro, e assieme ci raccontano uno stesso ambiente, che, come da descrizione dell’autore, è una periferia che si allarga attorno ad un centro che non c’è.
Un progetto nato due anni fa, che colpisce per sincerità e potenza, quasi fosse un manuale per salvarsi la pelle (o soccombere) negli anni della crisi, sia essa sociale o intima. Bianco e nero, tratto sghembo e senza fronzoli, con le storie di Juta si arriva all’osso e si sentono i brividi.
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Partiamo da una breve presentazione: chi sei, quanti anni hai, da dove vieni?
Sono Simone Rastelli, firmo Juta. Ho 26 anni, sono nato e cresciuto a San Marino.
Dove sei adesso?
Ora vivo a Milano.
La prima cosa che hai disegnato e l’ultima?
Mi ricordo che ricalcavo dei disegni alla finestra, tipo i personaggi dei cartoni come Dragon Ball. Era un modo di prendere qualcosa e farlo proprio, magari cambiandogli il colore dei capelli e aggiungendo dei dettagli. Ricalcando parti diverse da vari personaggi potevo creare degli ibridi, ovvero nuovi personaggi, miei. L’ultimo disegno che ho fatto è una vignetta per un nuovo personaggio della serie Spezzoni dalle Vite Drammatiche, si chiama Chapati, è un musicista, anche lui è un collage di varie identità.
Hai dei rituali prima di metterti al lavoro e dopo aver finito?
Prima di disegnare una storia accumulo materiale. Durante questa fase raccolgo qualsiasi possibile spunto, poi questo materiale si suddivide quasi automaticamente in varie possibili storie, quando in una storia inizia ad intravedersi un possibile personaggio, cerco di indossare i suoi occhi per cercare quello che mi manca per finire il racconto. Dopo aver disegnato, il rituale più giusto sarebbero degli esercizi per la schiena, ma spesso lo dico e non lo faccio.
Qual è la tua tecnica preferita e perché?
Lavoro con china e pennino, pennarelli, pennelli e matita. Spesso gli strumenti sono malconci, scarichi e spennacchiati, e questo mi aiuta molto perché altrimenti sarebbero troppo più forti di me. Uso queste tecniche perché lasciano trasparire la battaglia che si combatte quando si cerca di rappresentare qualcosa.
Qual è l’errore che un artista non dovrebbe mai commettere?
Non sono abbastanza esperto da poter dare consigli a nessuno, però credo sia grave non prestare attenzione al lavoro degli altri e non solo nel proprio specifico ambito.
Che rapporto hai con le tue opere? Le vendi senza problemi o fai fatica a staccarti?
Cerco di allontanare da me i miei lavori il prima possibile. Quando da questa separazione si riesce anche a guadagnare è il massimo. Al momento la maggior parte delle storie le pubblico online, ed è un buon modo per prenderne le distanze, ti spinge subito a rilanciare, è come un’asta contro se stessi. Quando guardo un mio lavoro penso cosa ne penserebbero i miei amici e se sento che a loro potrebbe piacere, sono contento.