Con Shibatarian Katsuya Iwamuro, ospite al Comicon, riesce nel non facile compito di stupire, colpire e farci innamorare all’istante.
Shibatarian di Katsuya Iwamuro è riuscito, almeno con il primo volume, a suscitare sensazioni in me non così tanto ordinarie. Innanzi tutto c’è stata la sorpresa, proprio tangibile, di avere tra le mani una di quelle opere destinate a fare parlare di sé, e molto, nei prossimi anni e, in seconda analisi, proprio il vero apprezzamento per un fumetto che, già con il tambokon numero 1, dimostra di valere tanto, anche e soprattutto dal punto di vista della sceneggiatura e del tratto. Innanzi tutto la prima cosa che “chiudendo idealmente gli occhi” mi viene in mente se penso a questo fumetto è il senso di straniamento misto al fascino per proseguire la vicenda. Infatti, quelli che, più o meno, finiranno per essere i due protagonisti, ovvero Hajime Shibata giustappunto e Hajime Sato, sono, fin dalle primissime vignette del fumetto, calati in un mondo “strano”. Strano nel senso che proprio il tratto a matita di Iwamuro, spesso e “sporco”, ci suggerisce quanto scritto: è un mondo come il nostro ma dove l’ombra, l’oscuro, il non detto e il non visibile si allunga e penetra in noi con grandissima forza. Questo ambiente così particolare, e un po’ tanto inquietante, si riflette con tutta evidenza nella prima, iconica, vignetta che vede il nostro Shiba ai piedi di un ciliegio completamente sotterrato, eccezion fatto per la testa, l’iconico volto che diventa, appunto, immediatamente iconico proprio per l’assenza di tratti somatici distintivi. Lui è lì e pare sereno mentre Sato lo trova per caso, mentre egli si era allontanato da tutto e da tutti perché disgustato da questo mondo.
Proprio questo passaggio di confine, diciamo così, che Sato fa, viene fatto anche dal lettore: Shiba, con la sua apparente serenità e dolcezza paiono introdurre una tipologia di racconto di un certo tipo. Una storia d’amicizia, magari un manga slice of life che tratta del rapporto di due individui un po’ strani ma che trovano, magari una passione comune, una ragione di vita oppure ancora una sorta di teen drama, non appena viene introdotta anche una terza figura, quella della “prima della classe”. Niente di tutto questo. Shibatarian ci prende in giro e a poco a poco quelle ombre di cui parlavo nella prima vignetta si fanno sempre più profonde ed iniziano ad occupare sempre più spazio sulla scena. E le domande iniziano ad affiorarci in testa, così come nella testa dei protagonisti: come mai Shiba non viene visto da nessuno ad eccezione di Sato, perché è sempre così gentile, che cosa ha di strano, di genuinamente strano, questo ragazzo?
Shiba, non personaggio per eccellenza, diviene così a poco a poco sempre più facilmente replicabile: è talmente privo di “riconoscibilità” che gli altri non si accorgono mai di lui. Eppure Sato, il suo amico, ha un sogno, abbastanza preciso in testa, ovvero quello di “girare un film magnifico, un film fighissimo, in cui tutti i nostri compagni di classe vengono uccisi”. Ecco da qui, sostanzialmente, parte l’innesco della storia, una storia che, lungi dai luoghi comuni, è una specie di rollercosater emozionale, in cui l’azione è come se fosse posta su un piano inclinato: prima parte ragionevolmente “lenta” e poi accelera, accelera sempre di più sino a, nelle pagine finali, lasciarci stupefatti per il ritmo e per il livello, anche, di efferatezza che si raggiunge. Mai nulla di volgare, intesi, ma sicuramente di potente, quasi disturbante. Shibatarian, pubblicato da Star Comics, pare proprio essere quella novità editoriale che non solo segna una “finestra di lancio” ma proprio tutta una stagione di manga. Infatti è qualcosa di fresco e al tempo stesso di famigliare, con quei disegni che, soprattutto dal punto di vista del charachter design mi hanno ricordato molto da vicino la lezione di Horikoshi. Per me è una lettura obbligata.