L’anno scorso mi imbuco a uno degli eventi del Festival della Letteratura organizzati nell’aula magna dell’università di Mantova. Tutti posti sono occupati nonostante fosse domenica mattina presto. Dietro la cattedra c’è Leo Ortolani.
Un mese prima Ortolani aveva pubblicato uno status dove annunciava che a settembre 2017 sarebbe uscito il 122, il numero che avrebbe posto fine alla saga di Rat-man. Non è una notizia facile da digerire ma, per bloccare subito eventuali domande ed evitare che tutto l’incontro venga dedicato a cosa sarà della sua carriera quando Rat-Man avrà smesso esistere, Ortolani tranquillizza tutti dicendo che sarà sicuramente coinvolto in altri progetti. Mugugni di giubilo in sottofondo.
Leo Ortolani è un figo, è la prima cosa che pensi quando lo vedi. Fisicamente assomiglia ad alcuni dei suoi personaggi – un po’ di pancetta, la stempiatura che avanza, vestiti non troppo eleganti, in pratica l’italiano medio – ma trasmette una tranquillità che ti prende in contropiede. Ti parla di fumetti o di action movie con una competenza impressionante, spiega con grande calma dell’enorme numero di ore che gli servono per ogni pagina disegnata e di come non sia stato facile accettare che era giusto mettere fine a tutto questo. Tolta qualche battutina stupida – con cui vince a mani basse l’applauso dei presenti – Leo Ortolani è persona serena, sicura di sé e molto lontana dall’immagine di nerd-sfigato che assoceresti a Rat-Man.
Rat-Man non parla solo di un supereroe sfigato, è chiaro. La trama di Rat-Man negli anni è diventata via via sempre più complessa tirando in ballo tutti i generi del fumetto possibili – dalla fantascienza, all’horror, ai manga – e creando strutture narrative anche piuttosto faticose da seguire. In Rat-Man si parte sempre dalla battuta stupida ma si arriva a momenti esistenziali mica da ridere, con una serie infinita di alter-ego e tanti dettagli che, come migliaia di pezzettini Lego che vanno a costruire la gigantesca Morte Nera di di Star Wars, disegnano un mondo fantastico che richiede uno sforzo di immaginazione sbalorditivo. In Rat-Man trovi tutto: il fallimento, la depressione e quel senso di impotenza che ognuno di noi, prima o poi, prova. Nel grido di battaglia “fletto i muscoli e sono nel vuoto” ci ho sempre visto il gesto di una persona che vuole andare oltre i propri limiti sperando di evadere dalla realtà e, puntualmente, cade rovinosamente. Ditemi voi se non è romanticismo questo.
È chiaro, fa anche ridere un casino e ha dei tempi comici da paura, ma il vero motivo per cui ci mancherà sarà un altro. È come se ci rinfacciasse la nostra mediocrità ma senza criticarla, al massimo la compatisce o, meglio, ci dice che è normale. Chi crede che sia solo una presa in giro dell’italiano medio si sbaglia e non capirà mai davvero quel senso di conforto che si prova ogni volta che si prende in mano un nuovo albo.
«Rat-Man è ignorante ma buono, con un cuore grande» – ha detto Ortolani in un’intervista a La Stampa pochi mesi fa. «Faccio personaggi con un sacco di limiti, forse perché mi rendo conto di averne io stesso. Non sarei in grado di fare un supereroe puro, come Superman». Accettare i propri difetti può essere un atto eroico e c’è chi ha pure bisogno di una maschera per farlo.
Il prossimo 28 settembre sarà in edicola l’ultimo numero, 122: Quando tutto finisce. Prenderemo la cosa seriamente, da persone mature e cresciute quali siamo. «Vi chiedo se sarete orgogliosi, come me, di avere vissuto insieme questa avventura straordinaria che sapevamo sarebbe finita, un giorno, ma l’avremmo vissuta lo stesso, fino in fondo» – dice oggi Ortolani – «Se è così, se per voi ha significato tutto questo, allora venite a salutare Rat-Man, nel giorno del suo tramonto. Quando l’ombra si allunga, facendoti credere di essere un gigante, ma poco dopo arriva il buio ed essa scompare, insieme alla tua vanità». Adesso piango.