In Okinawa Susumu Higa ci mostra tutta l’assurdità, mostruosità e terribilità della guerra.
Leggere Okinawa, capolavoro di Susumu Higa pubblicato in una lussureggiante edizione per Rizzoli Lizard, significa intraprendere un viaggio, al tempo stesso doloroso e sublime, attraverso tutti gli spettri emotivi e fattuali della guerra, che vanno dai vertici più alti dell’animo umano, come il coraggio, lo spirito d’abnegazione, la voglia di aiutare l’altro nonostante il mondo sia in fiamme, a quelli più bassi e tetri, come la sopraffazione ferina, la vigliaccheria o anche il tradimento per motivi di sopravvivenza. Susumu Higa ambienta le sue storie sull’isola di Okinawa, una prefettura giapponese che è quasi sinonimo di terra di confine. Se infatti è stato uno degli ultimi territori “interni” conquistati dal Governo Centrale giapponese e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale che il gruppo di isole vengono, rudemente, coinvolti dagli sconvolgimenti della guerra. Infatti è qui che l’esercito statunitense ingaggia con le forze di difesa giapponese la “battaglia di Okinawa”, uno degli scontri più violenti di tutto il secondo conflitto mondiale. Ma anche dopo la fine della guerra non ci sarà “pace” per quelle isole: da un lato una fortissima occupazione, manu militari, dell’esercito americano, con basi e porti e dall’altro una sorta di sfiducia diffusa da parte della popolazione giapponese “autoctona” nei confronti degli isolani (che per altro parlano un dialetto nettamente differente dal giapponese classico).
Insomma lo scenario è quanto mai affascinante, soprattutto considerando l’abilità del mangaka di tratteggiare le sue storie attraverso un procedimento molto particolare, che sfrutta più il togliere che l’aggiungere. In questa raccolta di racconti, i personaggi coinvolti dimostrano tutta la loro umanità nelle situazioni che li vedono coinvolti: c’è una madre coraggiosissima che fa di tutto per salvare e proteggere i suoi quattro figli, c’è un sindaco di una delle cittadine (anche se sarebbe più corretto parlare delle “isolette” minori nelle prossimità di Okinawa) che cerca di fare ragionare un rozzo e ottuso comandante militare, c’è un maestro di scuola che sceglie la via del buonsenso mentre tutti, travolti dalla guerra, sembra averlo perso. In questo modo di narrare c’è una poeticità implicita che io trovo semplicemente meravigliosa, con un rimando quasi ad uno stile neorealistico che non può non scaldare il cuore; ma, attenzione, non si indugia mai sulla lacrima “facile” o sul momento patetico per muovere a compassione. Qui le cose sono, come detto in precedenza, tratteggiate e mai didascaliche, le reazioni e atteggiamenti delle donne e uomini (ma anche bambine e bambini) coinvolti in queste vicende sono “umane troppo umane”.
Okinawa ha una sua musica interna, compassata ma profonda, che prende il lettore e non lo lascia mai ed anche i disegni, anche in questo caso dove è il tratteggio a farla da padrone, riescono benissimo a ridonare le emozioni dei protagonisti: i volti scavati dalle rughe e dalla vecchiaia degli anziani di un’isola, gli occhi che esplodono in un pianto bambinesco di un soldato di leva che ha perso la speranza e che si domanda se sua madre sia ancora viva dopo i bombardamenti dell’ultima notte, la mano paffuta di una bambina che stringe quella di sua madre mentre fugge da una tomba incustodita usata come rifugio provvisorio dalla guerra… sono “micro” nuclei narrativi dalla potenza infinita, raccontati con maestria somma da Susumu Higa che sa dosare, benissimo, speranza e disperazione, vita e morte, amore e odio, inizio e fine. Okinawa è un manga prezioso e raro, una capsula del tempo che vale per tutte le guerre: non potete non leggerlo, fidatevi.