Martin Mystère è una serie a fumetti creata da Alfredo Castelli nel 1982: è uno dei classici pubblicati da Sergio Bonelli Editore, un classico che tra poche settimane però si rinnoverà completamente.
Noi abbiamo chiesto di raccontarci come e cosa cambierà a un amico di Dailybest, Diego Cajelli, uno degli sceneggiatori che hanno preso parte alla realizzazione della sceneggiatura del nuovo Martin Mystère, in uscita il 3 novembre con il titolo Martin Mystère – Le nuove avventure a colori.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Diego, prima cosa: come va?
Come va… Come va… Manca pochissimo all’appuntamento con Lucca Comics & Games, dove esordirà ufficialmente la nuova serie di Martin Mystère, ho ancora mille cose da fare e delle consegne dietro la nuca. Diciamo che sono nella fase del “panico controllato”. Respiro a fondo, ascolto Dean Martin e cerco di stare tranquillo.
Il 3 novembre infatti arriva Martin Mystère – Le nuove avventure a colori: hai parlato di “ricostruzione” più che di “reboot”. Dovendo spiegare a dei profani che differenza c’è, ti chiedo: che differenza c’è?
A me gli americani piacciono un sacco perché riescono a definire con parole favolose degli elementi che io faccio molta fatica a collocare all’interno di definizioni precise. Reboot, sequel, prequel, pre-boot, se-boot-qel, sono solo parole. Capisco che al piano di sopra, all’ufficio marketing siano molto affezionati a quelle parole lì, ma dai, alla fine diventa soltanto un gioco di terminologie. In più, stiamo parlando di un contesto narrativo dove, e lo dico giusto per far vedere che abbiamo studiato, pesa moltissimo l’approccio precomprensivo gadameriano. Potrei dirti che non è un reboot, ma per qualcun altro potrebbe esserlo. Quindi, chissenefrega. Fanculo alle etichette.
Qual è stata la cosa più bella di questo tuo ultimo lavoro?
Credici o no, ma ho cominciato a leggere e collezionare fumetti in modo consapevole con il primo speciale estivo di Martin Mystère. Il cobra d’oro, correva l’anno 1984, avevo tredici anni, avevo ancora i capelli, la peluria da portoricano sul labbro superiore e gli occhiali riparati con il nastro adesivo. Per me c’è un’enorme differenza emotiva tra i personaggi che leggevo “prima” di decidere che di lavoro avrei scritto fumetti. Con Zagor, Diabolik e, appunto, Martin Mystère, ho una relazione emozionale differente rispetto a quei personaggi letti“dopo” aver deciso che scrivere sarebbe diventato il mio lavoro. Lavorare su Martin Mystère è stato come mantenere una promessa fatta a uno strano tredicenne con gli occhiali rotti.
Guarda la gallery Diego Cajelli ci ha raccontato il nuovo Martin Mystère Diego Cajelli ci ha raccontato il nuovo Martin Mystère Diego Cajelli ci ha raccontato il nuovo Martin Mystère Diego Cajelli ci ha raccontato il nuovo Martin Mystère+7
Qual è stata la cosa più difficile di questo tuo ultimo lavoro?
Scegliere. Il casino vero è stato scegliere che cosa prendere all’interno dell’universo narrativo di Martin Mystère. Una storia editoriale lunga più di trent’anni, che ha toccato ogni argomento possibile e il suo contrario. Alcune cose le abbiamo approfondite, altre le abbiamo sfiorate, altre ancora le abbiamo dovute evitare per mancanza di spazio.
Qual è stata la cosa che hai imparato da questo tuo ultimo lavoro?
Nell’era dei social e dell’esser-ci a tutti i costi, ho imparato che è possibile lavorare per quasi tre anni su un progetto senza dirlo a nessuno fino a pochi mesi dall’uscita.
Che cosa avrà di diverso questo Martin Mystère da quello della serie tradizionale?
Azzardando un paragone con la cucina, è come un piatto tipico, tradizionale, dalle profonde radici popolari, impiattato e servito in un modo diverso dal solito.
Ho letto che questa è la prima volta che in Italia si sperimenta una writing room tra sceneggiatori: com’è andata?
Ci siamo trovati bene a lavorare assieme, e questa la cosa più importante. Non era detto che mettendo sei sceneggiatori dentro una stanza ne fosse uscito qualcosa di pubblicabile e non cinque cadaveri. Il mio è un tipo di lavoro solitario, egoriferito, e non era affatto scontato che la writing room funzionasse. Dico spesso che secondo me Alfredo Castelli (ndr: creatore di Martin Mystère e supervisore dell’intero progetto) ci aveva fatto un profilo psicologico a distanza, selezionando le “teste” adatte a un lavoro di gruppo. Le riunioni sono state dei lunghissimi brain storming con lavagne intere riempite di appunti, foglietti, numeri della serie smontati, litri di caffè e riunioni fiume, sabati e domeniche comprese. Abbiamo strutturato una trama incasinatissima che si dipana su tutti i dodici numeri della serie, e tutte le trame dei singoli episodi. Al centro dinamico della narrazione c’è lui: Martin Mystère. Il lavoro di gruppo ha consentito di mantenere un grande controllo su tutti gli elementi narrativi.
Lo rifaresti questo esperimento?
Anche subito. Ognuno di noi sei “Mysteriani” ha esperienze e competenze diverse, ho imparato moltissimo dagli altri e vorrei continuare a farlo.
Cosa si guadagna e cosa si perde nel lavorare in questo modo a una sceneggiatura?
Se per un autore è imperativo far sapere ai suoi fanzzz che quella tal fighissima idea l’ha avuta lui perché è un tipo fighissimo superyeah, lavorando in una writing room ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Ma, se si riesce a fare un passo indietro, a sacrificare il proprio ego in funzione della storia e del personaggio, allora il guadagno tecnico/narrativo della writing room diventa immenso.
Come hanno reagito i fan storici di Martin Mystère?
Il rapporto tra il fumetto e i suoi fan duri e puri è molto complesso. Entrano in campo delle logiche che si avvicinano molto alla correlazione tra un tifoso e la sua squadra del cuore. Questo tipo di rapporto è per prima cosa emotivo, legato in modo molto profondo alla percezione del tempo che passa, al ricordo di come si era quando iniziò una serie o uscì un particolare episodio. Hai presente quelli che ricostruiscono gli eventi della loro vita in base alle partite di calcio? Ecco. Con i fan hardcore dei fumetti è più o meno uguale. Legano degli eventi, e il loro stesso passato, a determinati personaggi e determinati episodi. Quindi, quando vai a modificare, anche minimamente, una consuetudine che per te è soltanto narrativa, per qualcuno invece stai andando a toccare dei tasti profondamente intimi, dove non è possibile un rapporto razionale. Perché, per esempio, non stai “toccando” Martin Mystère, stai “toccando” il ricordo idealizzato di loro stessi. La narrazione seriale, quando è portata avanti per tempi lunghissimi come per le serie classiche bonelliane porta prima o poi a questa affermazione: “Le storie non sono più quelle di una volta”. Eh sì, cazzo, perché TU non sei più quello di una volta. E quindi che cosa succede? Succede che alcuni fan hardcore si trasformano in “Guardiani del Testo”, dove l’interpretazione del fumetto diventa soggettiva e puramente simbolica. Dove il personaggio si svincola dal suo creatore e dai suoi autori e diventa un patrimonio personale del lettore. Poi, un bel giorno arrivano quelli come me, che portano dei cambiamenti all’interno di quelle che per noi sono solo delle strutture narrative. Alcuni fan storici, quelli che hanno mantenuto un rapporto emozionalmente positivo con il personaggio (e di conseguenza con il loro passato) reagiscono in modo positivo. Per gli altri siamo tutti da appendere per le palle all’albero maestro. E ci appenderanno. Oh, se ci appenderanno.