Non so a voi, ma a me uno che va in giro con un libro sottobraccio mi sembra sempre un po’ pazzo. Non sapevo bene come prenderla questa cosa, mi sembrava un brutto pregiudizio (anche molto scomodo, visto che spesso vado in giro con un libro sottobraccio), fino a quando non mi è capitato fra le mani il Piccolo Dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari (Italo Svevo Edizioni) . È solo allora che ho capito che era tutto vero.
Per esempio può venirti la Bukowskite, cioè la malaugurata tendenza a credersi scrittori dopo una colossale sbornia, o la Gomorrea, malattia venerea contraibile tramite impegno (i cui sintomi annoverano: ipertrofia della prosa, ridondanza retorica e forte propensione all’orazione civile). Per non parlare del Borgesismo, forma letteraria di labirintite acuta di derivazione argentina.
L’autore di questo libretto è un malato all’ultimo stadio, e lo sa bene. I sintomi che elenca ce li ha tutti, o quasi. Scrittore, traduttore, lettore editoriale nonché straordinario performer letterario, Rossari ha deciso di ravvedersi e metterci in guardia. Leggendo questo agile prontuario potrete infatti riconoscere i sintomi della passione letteraria che vi affligge e scoprirne la gravità. Sfidando il contagio, abbiamo incontrato l’autore per farci raccontare quali malattie possono venirti se ti piace leggere libri.
Ciao Marco. Dimmi un po’, sei un ipocondriaco o sei davvero malato di libri? (per quanto possa avere senso fare questa domanda a un ipocondriaco)
L’ipocondria degli scrittori esiste. Ci sono quelli che si chiedono di continuo: potrei scrivere questo o quello? Ho dentro di me più giallo o più intimismo famigliare? E cos’è questa fitta che sento al fegato? Non potrebbe uscirne un bel memoir sul disturbo al fianco destro? Poi si ricordano di Ivan Il’ič e ci ripensano.
Com’è cominciata la tua malattia?
Da piccolo leggevo fumetti e Salgari, ma forse il vero momento di contagio è stato alle medie, quando un mio professore ha letto ad alta voce due racconti: Sette piani di Dino Buzzati e Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe. A casa mi prese la febbre, vedevo futuri racconti del grottesco se non dell’arabesco, scivolai nel deliquio. Provai a imitarli e da lì fu finita.
Credi che la letteratura sia contagiosa?
Non saprei. Nonostante i notevoli sbattimenti che mi faccio a volte per raccontare nelle scuole un autore che ho amato, penso che in fondo la scintilla debba venire da noi, che appunto il nostro sistema immunitario debba essere sufficientemente debole da lasciarci contagiare e poi abbandonare alla malattia.
C’è questa opinione diffusa per cui la buona letteratura spesso nasce dalla sofferenza. Tu ci credi? Che rapporto c’è fra malattia e scrittura? E tra malattia e lettura?
L’idea del poeta che solo grazie alla sofferenza, fisica o morale, è in grado di comporre qualcosa di decente è smentita dalla quantità di persone che soffrono e non scrivono una riga manco a sputare sangue, alla lettera. Certo, qualche momento di patimento può essere più fecondo di altri, ma sempre recollected in tranquility. Come ho scritto nella postfazione o bugiardino, la letteratura è una bella sudata collettiva per smaltire la febbre che ci prende a volte. Di sicuro racconta di una piccola o grande ferita che ci ha spinti a interpretare, capire, deformare il mondo. Quanto alla lettura, be’ con quelle belle influenzone di un tempo, si smaltivano certi mallopponi notevoli da 600 pagine.
Da Madame Bovary a Zeno Cosini, la letteratura è piena di grandi malati. Chi è secondo te il più sottovalutato?
Credo che Dante, con tutte le frottole che ha raccontato nella sua autoficiton (Divina qualcosa, ne avrai sentito parlare), avrebbe bisogno di qualche cura seria.
Essendo uno scrittore, immagino che avrai molti amici scrittori. Quali sono le malattie più comuni di chi vive raccontando storie?
Non ho così tanti amici scrittori. Quasi amici, diciamo. D’altra parte, se li fai entrare nella tua vita, c’è sempre il rischio che ti infilino in qualche romanzo. Terrore di qualche mese fa, l’amico scrittore che mi annuncia di avere scelto come protagonista del romanzo un traduttore. “Dimmi, ti prego, che non ha gli occhiali come i miei.” Le malattie di chi scrive di norma sono abbastanza banali: scoliosi da scrivania, torcicollo da biblioteca, miopia da lettore assiduo. Tra l’altro mi rendo conto ora, mentre ti rispondo, quasi con sgomento, che il mio migliore amico è un medico.
Una volta ho letto da qualche parte che Thomas Mann teneva un diario: ogni volta che faceva sesso scriveva sulla pagina del giorno una piccola “c” di “coito”. Secondo te, fra gli scrittori, chi è stato il malato più talentuoso?
Chissà se è vero. Magari ci segnava ogni volta che mangiava una caramella. Credo che Dostoevskij con la sua epilessia vinca il campionato di gran lunga.
Ma quindi, alla fin fine, di libri si vive o si muore?
Di libri si vivacchia.