Con Lime Joachim Tilloca spinge sempre di più il piede sull’acceleratore.
Per Lime voglio scrivere una frase che, sono molto sincero, non avrei mai pensato di scrivere, ovvero che c’è un modo giusto e uno sbagliato per leggerlo. Già perché l’opera di Joachim Tilloca, pubblicata da Oblomov, è una specie di meta-fumetto che, praticamente di vignetta in vignetta (o quasi) si continua a reinventare, auto-citare e, perché no, rivoluzionarsi pagina dopo pagina. Quella che è, infatti, una storia che parte come un noir dalle tinte cyberpunk via via diventa, sempre, qualcosa di differente: una space-opera, un road-movie a fumetti oppure ancora un racconto dell’horror con addirittura una specie di pseudo morte che fa capolino. Ma come avevo affermato poco fa, c’è un modo giusto, almeno secondo me, e uno sbagliato per leggere questo ed è necessario, ora, affrontare quello sbagliato.
Se infatti si affronta Lime con gli “strumenti” e l’attitudine di una lettura più o meno classica di fumetto, beh, ben presto vi scontrerete con un muro insormontabile. Già perché Joachim Tilloca è come se volesse rinverdire il suo essere un autore nato con il fumetto sperimentale e perciò, appunto pagina dopo pagina, vignetta dopo vignetta egli sperimenta. Questa esplosione di creatività ondivaga rischia, come detto in precedenza, di disorientare il lettore se ha un atteggiamento troppo “ligio” ai dettami della storia. Se infatti la si vuole seguire in modo piano e retto, mi spiace, ma si finirà per perdersi e desistere dalla lettura di quello che, a conti fatti, è un fumetto molto poderoso, di oltre 430 pagina talvolta anche molto fitte di dialoghi. E quindi non c’è speranza, potremo soltanto lasciarci tramortire da questo piume in piena di creatività? No, io penso di no, a patto che, giustappunto, lo si legga nel modo giusto, ovvero, “non leggendolo”.
Perdonate la boutade, che vado a spiegare. Di Lime, pur riconoscendo il “peccato primigenio” di essere troppo indulgente con il proprio auto-citazionismo costante, ho apprezzato, tantissimo il ritmo e il tratto, con quell’incedere asimmetrico e il suo ritmo sghembo, con quei neri talmente profondi che lo sguardo ci si fionda a capofitto e quel disegno così stilizzato da farti provare gli spigoli dei personaggi in pieno volto. Anzi, vi dirò di più: tra le altre cose che avrei voluto, ancora di più, vedere esplodere tra le pagine di Lime, c’è proprio questa de-umanizzazione del disegno che, talvolta, abbraccia quasi l’astrattismo. Ecco da amante dello stile di Tilloca mi sarebbe piaciuto che spingesse ancora di più ma in Lime, diciamo così, ha già pigiato, fortissimo, sull’acceleratore per quanto concerne la narrazione e il tipo di storia. Non semplice, non per tutti e alle volte edgy, ma Lime ha un sapore acido che non vi si toglierà, facilmente, dal palato.