Con Le nuvole del soffitto Roberto Biadi realizza un’opera d’esordio interessante. Soprattutto dal punto di vista filosofico.
Quando Add Editore mi ha chiesto se avessi voglia di occuparmi de Le nuvole del soffitto, opera d’esordio di Roberto Biadi mi aspettavo di trovarvi di fronte a qualcosa di molto “consapevole”. Questo aggettivo, vedrete, sarà centrale in questa mia recensione. Dicevo consapevole perché Biadi non è nuovo al mondo del fumetto o comunque della comunicazione pubblicitaria in quanto animatore, illustratore, art director, videomaker di lungo corso. E quindi ho iniziato la lettura affascinato come prima cosa dallo stile, uno stile molto minimale, che andava quasi a sottrarre ogni tipo di colore per lasciare una dominanza cromatica bianco-grigio-nocciola che ho trovato, fin da subito, originale.
Mano mano che proseguivo nella lettura dell’opera quel primo fattore di interesse, giustappunto lo stile, andava sempre più in secondo piano e aumentava la sensazione di trovarvi di fronte ad un opera consapevole non solo nella forma ma anche nella sostanza, una sostanza che a conti fatti, almeno i miei, erano grandemente filosofica. Mi spiego meglio. Il protagonista un giorno va dal dottore e scopre di essere morto: e fin qui ok, bella trovata che intriga ma nulla di così nuovo. Eppure la cosa che mi è sempre più piaciuta nel prosieguo della lettura non è tanto che la vita del protagonista da morto non cambi praticamente di una virgola ma, giustappunto, che quella vita ha un valore filosofico interessantissimo.
Il “tale”, come acutamente viene appellato sul sito di Add, protagonista vive una vita che è la quintessenza della ripetitività, costantemente schiacciato tra obblighi e scadenze lavorative, vita più o meno sociale e quel vuoto e senso di inadeguatezza che non va via neppure dopo aver superato quella che una volta era l’età della ragione. Insomma seppur morto il protagonista incarna, di buon grado, anche la nostra vita, con tutta la consapevolezza di una persona adulta che si sente inadatto ad essa. Trovo che questo nucleo filosofico dell’opera super di gran lungo la chiave estetica che, di vignetta in vignetta (sempre disegnate benissimo) mi ha trovato via via sempre più freddo. Quel senso di ripetitività che adoravo sempre di più nella sceneggiatura, infatti, è finito per risultarmi un po’ ridondante dal punto di vista grafico. Ma in un libro come Le nuvole del soffitto, in cui ripetere lo stesso gesto, disegno e vignetta significa descrivere un mondo che cambia, trovo che modificare la propria opinione sia cosa buona e giusta.