Tomoko Oshima con “Secchan” ha scritto uno dei manga più dolorosi dell’anno. Ovviamente stupendo.
Confesso che ho preso”Secchan”, il manga firmato da Tomoko Oshima, uscito in questi giorni per J-Pop Manga, quasi esclusivamente per la copertina. Cioè sì, avevo letto qualcosa in merito ma non mi ero spinto troppo in là: quella copertina, la copertina di questo manga ha avuto su di me un effetto pazzesco. Mi attirava a sé, mi raccontava qualcosa che ogni tipo di comunicato stampa, quarta o informazione editoriale. Quella copertina, almeno per me, era una dichiarazione di poetica assoluta: parlava di una ragazza fragile, un po’ annoiata e profondamente sola davanti a un mondo cattivo. Incredibilmente ci avevo sia “preso” sia mi ero sbagliato di brutto. Già perché “Secchan” è sia una storia si (s)formazione di due giovani solo all’apparenza apatici e “svogliati nei confronti della vita” sia una radicale critica alla società giapponese, unita a una sorta di “pessimismo cosmico” di leopardiana memoria che non poteva non fare breccia nel mio cuore.
C’è una ragazza, Secchan, appunto e c’è un ragazzo, Akkun, che però, al contrario della stragrande maggioranza dei manga oggi presenti sul mercato, per non parlare degli shojo (come anche ha modo di ribadire la stessa Tomoko Oshima), non sono innamorati. Anzi, in un certo qual modo, loro rifiutano l’amore in profondità, l’amore coniugale e classicamente inteso. Akkun per esempio, all’inizio di questa storia, una ragazza ce l’ha ma sta per lei più per inerzia che per altro, tanto è vero che non la considera particolarmente intelligente o acuta anche se ammira la sua voglia di fare e la sua energia. Secchan invece è quella che si sarebbe definita, qualche anno, una “lost girl”: una ragazza che non sa bene che farsene della propria vita e che, senza soluzione di continuità, passa da un letto all’altro, nella vana speranza di trovare un senso a questo lento e opaco trascolorare dei giorni. Queste due anime perse non potevano che, lentamente e in modo quasi casuale, andarsi a trovare. Non per “stare assieme”, per fidanzarsi insomma ma, più correttamente, “per fare sit-in in due”, per passare le ore a preparare cibo fatto male o per leggere manga dozzinali.
Questo può bastare in un Giappone distopico (fino a un certo punto) sconvolto da plurimi attentati terroristici da parte di studentesse e studenti universitari delusi e arrabbiati per la deriva militarista che la società civile e politica sta prendendo? Molto probabilmente no, eppure i due, incuranti di quanto sta accadendo loro intorno, continuano a stare assieme, senza sfiorarsi, parlando poco, non guardandosi neppure eppure pascendosi di ogni singolo grammo di questa “schiuma dei giorni”. Lo stile simil-chiby unito alla pesantezza e drammaticità dei temi proposti, senza presenza di retorica per altro, fanno di “Secchan” una grandissima lettura, arricchita da una traduzione eccellente, come conferma una delle frasi capitali di questo manga. Ve la voglia citare qui, perché è troppo dolorosa, quindi bella, per non farlo.
Sarebbe stato meglio se avessi continuato a farti trasportare dalle cose. Ma forse non c’erano più posti dove lasciarti trascinare. Forse si è arresa perché questo mondo non faceva per lei e pensava che non ci fosse più nulla da fare.