Uno spazzolino da denti, offensivo solo per le carie, diventa un’arma offensiva per tutti se incastonata fra le setole c’è una lametta. Una pistola di legno, dipinta di nero, se costruita in prigione da un detenuto racconta ciò che gli manca della vita, l’abitudine che ha perso. Un pennino, al quale sono avvolte con del nastro adesivo delle pile, diventa una macchina per fare tatuaggi. Un libro è una radio, se aprendolo non si trova una storia ma circuiti al posto delle pagine. Sono alcuni dei 185 oggetti requisiti dalle guardie delle carceri della Romandia, la Svizzera francese, e fotografate da Mélanie Veuillet per il suo “Tools of Disobedience”, un catalogo e archivio fotografico della disobbedienza, pubblicato dalle edizioni Patrick Frey di Zurigo.
“La prigione è un’invenzione recente, esiste da poco più di due secoli”; scrive nell’introduzione del volume Dieder Fassin, professore di scienze sociali dell’Institute for Advanced Study di Princeton. “All’inizio si credeva che riflettesse il processo di civilizzazione enunciato dal sociologo tedesco Norbert Elias, in altre parole, un ammorbidimento della punizione. I reati non sarebbero più puniti da esecuzioni pubbliche, a volte preceduti da prolungata tortura, ma sarebbero puniti con una reclusione per riformare il condannato e progettare la società”. La tortura diventa il tempo senza le cose. L’atto creativo è la disobbedienza. Al di là delle lame e delle miniature di armi, gli altri oggetti sono accompagnamenti del tempo. Come il libro radiofonico o diversi modelli di pipe costruiti con lattine o vasetti, o yo-yo creati con calze di nylon. Passatempi.
Nell’introduzione al volume, Dieder Fassin continua scrivendo: “Questi attrezzi grezzi della disobbedienza sono qui per mostrare al visitatore un immaginario museo di resistenza alla condizione carceraria. Questi oggetti poveri, sono oggetti dei poveri. Salvati all’oblio cui erano destinati, grazie al lavoro dell’artista, si arrendono alla loro ultima verità sul mondo contemporaneo”. L’ultimo libro scritto da Fassin e pubblicato quest’anno si intitola proprio “Punire. Una passione contemporanea”.
A proposito di museo e di carceri, il castello di Tobol’sk in Siberia dove fu rinchiuso Dostoevskij è diventato un museo. Il suo libro “Memorie dalla casa dei morti” è in qualche modo un oggetto nato, ideato, fra quelle mura. L’incipit recita così: “La nostra casa di pena stava all’estremità della cittadella, proprio sotto alle fortificazioni. Se a caso guardi dalle fessure della palizzata il mondo di Dio, per scoprire almeno qualcosa, vedrai soltanto un pezzettino di cielo e un alto rincalzo di terra dove crescono le erbe della steppa e le sentinelle che ivi passeggiano notte e giorno; e pensi che là tu dovrai passare anni interi e potrai soltanto guardare attraverso le fessure della palizzata e vedrai sempre quel rincalzo di terra, quelle sentinelle e quel pezzettino di cielo, non del cielo che è sopra alla casa di pena, ma di un altro cielo lontano e libero”.
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Le foto del volume sono state scattate dai ragazzi di Edicola518 di Perugia. Un’edicola che non vende quotidiani e che non utilizza la distribuzione ufficiale, ma che propone pubblicazioni di arte, cultura, politica e letteratura provenienti da ogni parte del mondo.