Il ritorno con Giorni Felici di una delle più importanti artiste italiane certifica la sua incredibile capacità di mettere in fumetto le intermittenze dell’animo umano.
Quando ho chiuso Giorni Felici, il nuovo libro di Zuzu sono rimasto a fissare il soffitto per un po’ e poi, in un moto totalmente istintuale, mi sono messo a ascoltare una playlist nel quale sono racchiuse le canzoni che ho più ascoltato durante gli anni del liceo. Questo, apparentemente inutile e pretestuoso incipit, mi serve, e spero possa servire anche a voi, per comprendere quanto Zuzu, oggi, sia una fumettista capace di rendere il particolare talmente universale da fare aderire la propria esperienza di vita, di artista, di essere umano immersa nel presente quale è lei, affare di tutti. E questo, dopo Cheese, di cui vi avevamo parlato qui, riesce a farlo con ancora più forza e convinzione in Giorni Felici, per almeno due ordini di ragioni: la massa e il peso. Come ci hanno insegnato alle scuole medie, la massa è la misura della quantità di materia di cui è fatto un oggetto, mentre il peso è una forza che agisce sull’oggetto e che dipende dalla accelerazione di gravità. Bene, in Giorni Felici la massa è rappresentata dalla somma delle vicende narrate mentre il peso si personifica nella forza dei sentimenti, dei dolori e delle passioni messe in campo da Zuzu nelle sue pagine.
Ecco allora che Zuzu in questo suo nuovo libro si prende tutto il tempo del mondo (qui si spiega la mole, davvero ingente, del volume di per sé) per mostrare e mostrarsi alla lettrice e al lettore in quanto artista e essere umano a tutto tondo, con qualche piccolo/grande slancio nel mondo, per così dire, ferale che dà quel tocco in più a un tipo di racconto che, sostanzialmente, parla di abbandono: abbandono dell’adolescenza, abbandono di una relazione, abbandono di certe ansie e paure che, udite udite, parevano essere alienabili alla propria persona e invece così non è. Nel bellissimo volume pubblicato da Coconino infatti Zuzu con un disegno più rotondo rispetto all’esordio e interamente colorizzato con matite e pastelli (che infatti la fumettista ringrazio alla fine del libro) ci porta ad un tipo di lettura a momenti frenetica e febbrile e in altri più sofferta e dolorosa. Non perché i tempi del racconto di Zuzu siano sbagliati, nonostante abbia ravvisato alcune scene forse di troppo, ma perché sono proprio questi i tempi della trama: una trama che è come se fosse stata scavata di netto dalla pelle e dall’animo dell’artista. Per questo, a volte, è tanto doloroso, deliziosamente doloroso, sfogliare queste pagine: perché sono pagine vive di vita, palpitanti e battono all’unisono con il nostro cuore.
Se Claudia, la protagonista, può essere in un certo senso intesa come una sorta di proiezione della stessa Zuzu, Piero e Giorgio invece rappresentano il contraltare maschile della storia e non potrebbero essere due persone più diverse e, appunto, simboleggiare due modi di essere uomini oggi agli antipodi: tanto Piero è, apparentemente, insicuro e selvatico, quanto Giorgio è, sempre all’apparenza, realizzato e urbano. Senza svelarvi troppo di una trama che, francamente, mi ha davvero colpito per la sua crudezza, vorrei invitarvi, quando leggerete il libro, a soffermarvi sulla descrizione fisico/anatomica del, per così dire, corpo di Piero e Giorgio. Se infatti siamo abituati, almeno in tanto, troppo fumetto italiano, a corpi femminili dissezionati con arte e grazia, a questo giro Zuzu ci consegna due ragazzi bellissimi perché estremamente veri: non degli adoni, non dei fotomodelli, non dei membri di boy band ma due ragazzi normali e per questo unici. Due tipi dei quali ci si potrebbe innamorare mentre si torna con la metro dall’ufficio, se sono non fossimo così stanche o stanchi no?
Ma forse la cosa che più mi ha colpito di quello che è, a conti fatti, uno dei grandi libri della nostra letteratura, al netto dei sue difetti (e di una certa qual voglia di non prendersi troppo sul serio che è più pleonastica che concreta), sono stati certi momenti, segnatamente determinate vignette, talmente intime da farmi sentire quasi un voyuer dell’animo umano quando le sfogliavo. Già perché Zuzu in Giorni Felici è stata in grado di scoperchiare le dinamiche e i “nervi” di una coppia di metterli in fumetto con una forza e una “dolce crudezza” disarmante. Questo è, almeno per me, il più grande stacco rispetto alla sua opera prima: non è che Zuzu sia più o meno maturata, è sempre stata pronta, lei, ma forse non lo eravamo noi per una tale, sciabordante, forza espressiva.
Quindi Giorni Felici (che sì, cita e utilizza l’omologo dramma di Samuel Beckett o forse era di Giorgio Poi?) ti fa venire voglia di pigliare una vignetta e di renderla una maglietta da indossare per andare a ballare, per fare lo spesa o per dormire stretta alla propria compagna, compagno o, perché no, a quel ragazzo conosciuto in quel locale. Insomma a farla diventare una seconda pelle, per poi togliersela di dosso, metterla in lavatrice e proseguire con la nostra mutazione: da essere umano a bestia, da fiera a uccello, da donna a uomo, da cuore a pietra. Perché l’unica vera differenza non è la forma ma l’intensità con cui sentiamo il mondo là fuori, la forza con cui baciamo la persona che amiamo e il gravità con cui pronunciamo certe frasi o facciamo certe promesse. Contano solo queste per davvero. Zuzu lo sa e in Giorni Felici ha disegnato e colorato tutto questo.