Il Saraceno, nuova opera di Vincenzo Filosa per i tipi di Rizzoli Lizard, è metanarattiva biografica a fumetti.
Leggere Il Saraceno di Vincenzo Filosa, pubblicato recentemente da Rizzoli Lizard e presentato a Lucca Comics, è un’esperienza che, forse, per un “lettore della prima ora potrebbe essere un’esperienza impervia. Già perché riprendendo in mano il personaggio di Italo, Filosa, fa un viaggio, quelli bravi direbbero una catabasi verso le sue origini, segnatamente ritorna nella città natale di Crotone, per, in un certo senso, riannodare i fili con il passato. O forse reciderli per sempre. Ma poco fa parlava di quanto leggere questo fumetto possa anche essere un’esperienza impervia e non voglio lascarvi troppo col fiato sospeso: se state pensando a un tipo di narrazione placida in cui, con molta dolcezza, financo lentezza, vengono snocciolati uno dopo l’altro i vari personaggi e situazioni, vi state sbagliando di grosso. Vincenzo Filosa è un autore troppo unico nel suo genere per un tipo di conduzione del genere: siamo molto di più dalle parti della metanarrativa biografica, come se Philip Roth non solo avesse saputo disegnare i fumetti ma avesse anche amato i viaggi psicotici.
Eppure proprio questo animo lisergico, evidenziato appunto dal protagonista Italo, viene poi a dipanarsi, via via, in una sorta di “gioco d’ombre” in cui cose, persone e situazioni vengono evocati da Filosa con maestria, con un continuo andirivieni tra passato e presente, tra Milano di oggi (e di ieri) e la Crotone di ieri (e di ieri l’altro). Un tipo di narrazione che, personalmente, ho molto amato anche se comprendo perfettamente come per molti possa, appunto, risultare non semplice da dipanare. Eppure il punto è proprio questo: forse non ha senso mettersi lì a dipanare lo gnommero Filosa, meglio rimanere ancorati alle pagine e osservare la maestria di un autore con la A maiuscola che dopo Viaggio a Tokyo Figlio unico e Cosma e Mito riesce, ancora una volta, a sorprenderci e reinventarsi, con uno dei protagonisti più “abietti&inutili” che si siano visti in giro negli ultimi anni. Verrebbe da dire, giusto per fare la voce grossa e “spararla” un po’ che “anche a Crotone si fa il gekiga” ma forse è un’esagerazione è questa è molto più “semplicemente” una grande bella storia strana.