I morti non prendono l’ascensore è uno straziante, e bellissimo, racconto a fumetti.
Icaro Tuttle con I morti non prendono l’ascensore, pubblicato da Becco Giallo, è riuscita in un piccolo miracolo. Grazie infatti alla sua storia, elaborazione della sua tesi di laurea sullo stress-traumatico è infatti stata in grado di danzare sul confine, sempre difficile da presidiare, tra il patetismo di una storia che comunque la si guardi è davvero commovente e la lucida analisi di un sentimento, anzi di un dolore e sulla sua più o meno difficile elaborazione.
Ecco perché penso che questo fumetto, per altro costruito con sapienza e maestria grazie a una sceneggiatura che “spacca l’atomo” della narrazione in quattro andando al succo delle cose, sia importante: perché parla di situazioni, sentimenti e, perché no, brandelli di vita con i quali tutti quanti noi, presto o tardi, siamo chiamati a fare i conti. In tal senso il parallelismo tra la memoria e una “piscina malandata che sa di chimico” è perfettamente calzante: perché la memoria è un liquido, senza ombra di dubbio, una sostanza del passato che, costantemente, si adatta nella forma e nelle dimensioni a quel contenitore che noi esseri umani chiamiamo presente e che i poeti appellano come vita. Questo I morti non prendono l’ascensore, con i suoi colori acidi, i suoi personaggi tristi, quasi muti e le sue stanze di motel squallido ci parla e ci chiama nel profondo. Proprio come quando, per la prima volta da piccoli, riusciamo a toccare il fondo della piscina. Non cambia nulla nelle nostre vite ma tenere il fiato “fin lì” è uno dei grandi momenti in cui si impara a fare i conti con una dimensione “altra”. Se avete piacere di chiamarla sottosopra, aldilà o, semplicemente, memoria è una vostra scelta. Quello che so è che Icaro Tuttle, senza un briciolo di banale retorica, ha scritto e disegnato un grande fumetto.
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