Libri
di Gabriele Ferraresi 26 Febbraio 2016

Guido Catalano: il poeta innamorato dell’amore

Dalle pizzerie di provincia alla poesia che fa sold out da 600 persone: esordi, avventure, tombini da sollevare e fughe da Losanna compresi nel biglietto

La prima volta che ho visto dal vivo Guido Catalano, colui che si dice sia “l’ultimo dei poeti”, l’autore di un romanzo uscito da poco per Rizzoli, D’amore si muore ma io no – il libro sta andando benissimo e in classifica si aggira tra Giovanni Floris e Andrea Camilleri – be’, la prima volta è stato a Collegno, in provincia di Torino. Era il 2011, marzo, cinque anni fa e forse pioveva pure. Catalano faceva un reading in una specie di circolo dentro a un parco, il pubblico era quello che era, forse mangiava una pizza e intanto ascoltava, forse un poco applaudiva, però soprattutto rideva: in ogni caso ci saranno state – ottimisticamente – trenta persone non paganti.

Rideva il pubblico, perché Catalano componeva (anche) liriche come questa tratta da Decalogo, del 2008

se qualcuno ti si presenta dicendo, sono un poeta
colpiscilo con tutta la forza che hai sulla fronte
col palmo aperto della mano
urlando SUCA!
evita assolutamente i raduni di poeti
se per disgrazia ti trovi a un raduno di poeti
non andarci armato
uccidere un poeta a un raduno di poeti
sarà quasi certamente considerato dalla legge italiana
un eccesso colposo di legittima difesa

La seconda volta che l’ho incontrato è stato sempre nel 2011, qualche mese dopo, quando il grattacielo Galfa di Milano venne occupato e diventò Macao. Catalano passò una sera a esibirsi insieme a Federico Sirianni, il chitarrista che lo accompagnava ne “Il Grande Fresco”, lo spettacolo che portava in scena in quel periodo. E altre volte ancora ci si è rivisti. Ricordo che in un’intervista dei tempi gli avevo chiesto se sentisse quello come il momento della maturità, rispose Deve esserlo, o è così o sono fottuto“. Non è rimasto fottuto a quanto pare: anzi.

 

guido catalano  Guido Catalano sul palco – Foto: Gabriele Ferraresi

 

La storia di Guido Catalano, classe 1971, parte sul finire degli anni ottanta, quando, ricorda “formai su un gruppo di rock che avrei poi scoperto essere rock demenziale alla Skiantos. Ci chiamavamo Pikkia Froid. Non sapendo suonare nessuno strumento ero il cantante, un po’ come quando uno lo mandano in porta perché è una schiappa a calcio. Quando abbiamo iniziato ad avere un minimo di riconoscimento e qualche risultato, ci siamo sciolti. Io son rimasto lì senza saper fare nulla se non scrivere i testi che cantavo, e dunque ho iniziato a leggere questi testi in giro. Assomigliavano a poesie. Forse erano poesie“. A questo punto, lo erano senz’altro.

Le sue raccolte di poesie più recenti sono Ti amo ma posso spiegarti e Piuttosto che morire m’ammazzo e hanno venduto benissimo. Si dice ventimila copie in tutto, per i valori della narrativa in Italia sarebbero ottimi numeri, figuriamoci per la poesia, un genere decisamente più di nicchia. I libri hanno venduto principalmente per due motivi. Primo: Catalano si stacca totalmente dall’archetipo del poeta classico, forse oggi un po’ impolverato, perché con Catalano si ride e si piange molto. Perché Catalano riesce in quella magia dei poeti, che, diceva “devono far pensare. In ogni caso devono emozionare. È una cosa difficilissima e rarissima“. Lui quel dono ce l’ha, l’ha coltivato.

Secondo: soprattutto hanno venduto perché Catalano ci crede, viaggia, presenta, fa reading in ogni angolo della penisola, non si risparmia, lo conoscono dappertutto: è sempre in viaggio, si sposta, parla, racconta. Fa spettacoli in continuazione. Ama il suo pubblico e il suo pubblico lo contraccambia. Avrà forse difficoltà a trovare l’amore perfetto Catalano, ma l’amore del suo pubblico non si mette in discussione. Credo che pochi artisti in Italia oggi possano vantare un rapporto così stretto, solido, con i propri fan: ed è stata anche questa la sua forza nel corso degli anni.

Coltivarsi uno zoccolo duro di amiche, di amici, più che di fan in senso stretto, che col tempo sono cresciuti in numero, hanno fatto massa critica, e hanno premiato i suoi sforzi. Nel modo migliore per un artista: comprando il suo prodotto.

 

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Oggi Catalano collabora con  Smemoranda, ha un blog sul Fatto Quotidiano e una rubrica settimanale nella trasmissione radiofonica Caterpillar su Radio 2. L’ho incontrato prima della data milanese del tour di presentazione di D’amore si muore, ma io no al Santeria Social Club di Milano, ecco cosa ha raccontato a DailyBest.

Moretti, Nastro Azzurro… [nel backstage Catalano osserva un piccolo frigo, ndr] prendiamo una birra?
Certo che sì. L’ultima volta che ci siamo incontrati ti avvicinavi ai tuoi primi quarant’anni, come direbbe la mia maître à penser Marina Ripa di Meana. Adesso come va?
Dodici giorni fa, il 6 febbraio ho fatto i primi 45.

E come sta Guido Catalano?
Non mi posso lamentare, guarda con chi mi accompagno, con Roberta Carrieri e con Dente, almeno questa sera. L’ultima volta che ci siamo visti facevo una roba in una pizzeria di Torino, periferia, forse a San Mauro Torinese… cinque anni fa. Le cose sono migliorate: oggi cerco di evitare le pizzerie, se non per mangiare la pizza. Ma cerco di non fare più reading in pizzeria.

L’impressione è che le cose stiano andando bene
Stanno andando bene, sì.

Intanto hai dato una sterzata alla tua produzione artistica, sei passato dalla poesia al romanzo
Non sono ancora bravo a raccontarlo, non sono capace di parlare di ciò di cui scrivo. Mi trovo in difficoltà: finché ho scritto poesie nessuno mi chiedeva “come mai?”, si dava tutto per scontato, adesso che sono passato al romanzo, mi si fanno giustamente domande sul romanzo. Nella mia idea il romanzo – ma è da capire se la mia idea corrisponde alla realtà – è un proseguimento di quello che ho raccontato.

Chi è il protagonista del tuo romanzo?
Il protagonista è un poeta che cerca di campare anche andando in giro a leggere le sue poesie, che si innamora in continuazione di varie donne, una in particolare, ma ci sono anche molti flashback con altre donne. È un po’ pasticcione, nel muoversi nel mondo dell’amore. Mi assomiglia molto, per usare un eufemismo. Le cose che ci differenziano sono due, uno il nome, due, probabilmente l’età. Giacomo ha qualche anno meno di me, infatti si definisce un poeta semiprofessionista, cosa che anch’io ho fatto per molti anni. Dicevo che facevo il poeta semiprofessionista vivente.

Guido Catalano vive di poesia. Messa così, sembra un ossimoro. Ma è la realtà. Gli chiesi se riusciva a viverci dei suoi componimenti, mi spiegò che “Con una certa fatica, ma sì, riesco a viverci. Come faccio? Vado a letto tardi, passo molto del mio tempo a fare l’ufficio stampa di me stesso, per campare faccio una media di tre serate a settimana. Cerco di convincere mia madre che va tutto bene“. Era qualche tempo fa, adesso le cose vanno meglio, ma le serate a settimana non sono diminuite.

 

DSC_6551catal_cut  Foto: Gabriele Ferraresi

 

Mi ricordo, mi ricordo
Adesso dico professionista vivente. Quando ci siamo conosciuti, cinque anni e rotti fa io ero Giacomo, quello del libro. Tu hai visto Giacomo, un uomo ormai fatto di 39, 40 anni, che da dieci anni cerca di fare il poeta, ma fa anche altri lavori. Giacomo si arrabatta tra un lavoro d’ufficio noioso e alienante, fa il poeta, i reading, e si muove nel complesso mondo dell’amore. È una storia d’amore.

Più che autobiografico direi. E dei lavori che ha fatto Giacomo tu quali hai fatto?
Ho lavorato in case editrici, varie – faccio molta confusione tra quello che ho inventato e quello che ho fatto realmente – ho fatto il correttore di bozze alla Einaudi, credo di essere stato il peggior correttore di bozze della storia di Einaudi. È notevole. Correggere le bozze è un dono, devi avere un occhio particolare, puoi anche avere la seconda elementare ed essere il più grande correttore di bozze del mondo, o quasi.

Altri lavori?
[Catalano riflette qualche secondo, ndr] Ho fatto il portiere in un residence!

Portiere in un residence, una miniera di storie
Se solo avessi preso appunti! Era un residence particolare, lì ho fatto un anno, poi una pausa, poi un anno, ho scritto delle poesie su quell’esperienza, non ci ho ancora scritto della prosa, ma ci starebbe un romanzo, un film. C’era una fauna molto particolare.

Che altro hai fatto ancora?
Ho fatto il pozzettista. Il pozzettista è quello che va a cercare i numeri dell’acqua, segna i numeri dei contatori dell’acqua. Si chiama così perché spesso i contatori si trovano nei pozzetti o nei tombini. Quindi dovevi alzare questo coso in ghisa, che pesava cinquanta, sessanta kg e penetrare nel buco in cui succede di tutto. Sono durato due mesi. E in più pagavano a cottimo, venivi pagato a numeri letti, una cosa folle. Folle.

Questo è il passato: nel presente il pubblico sembra stia restituendoti quello che tu hai dato in anni e anni di impegno
È una cosa che dura da quindici anni, se ci penso mi fa paura. Se guardo indietro… è partito tutto nel 2000 quando ho fatto il primo libro, poi il blog l’ho aperto nel 2005, ed è stato fondamentale, lì mi sono aperto, come chiunque aprisse un blog a quei tempi. I social network hanno poi amplificato tutto, ma a prescindere dall’internet credo di avere coltivato un pubblico. E ripensare a dieci anni… sono tantissimi… oggi è tutto veloce, io ci ho impiegato molto, per tanti motivi.

Che idea ti sei fatto?
Uno dei motivi è che faccio una cosa strana, che non viene codificata, è da poco, da adesso che i giornalisti accettano questa roba, prima non si capiva che cosa fossi e che cosa facessi. Un cabarettista? Uno scrittore? Un performer? Un poeta? Una cosa strana? Ho uno zoccolo duro, non so quanto sia grande, ma l’uscita del romanzo sarà la cartina di tornasole per vedere quanta gente c’è che mi segue.

Hai un pubblico in prevalenza femminile. Sei fidanzato?
Mmmhh… un po’. Abbastanza. Credo di essere fidanzato, ma la ragazza in questione… lo sa, le piace anche, però non è del tutto chiarissimo, però sì, sono fidanzato.

Com’è stare insieme a Guido Catalano?
Dovresti chiederlo alle mie ex fidanzate e farci un lungo documentario. Anzi, lungo no, che non ho avuto molte donne, se parliamo di fidanzate ne ho avute tre, quattro, poca roba. In 45 anni è pochissimo. Non sono mai stato tantissimo tempo con una donna.

Come mai?
Credo di non essere una persona facile, sono molto concentrato su me stesso, e alla lunga questa cosa crea dei problemi, può crearli e li crea, anche perché tendo all’egoismo. Poi non ho la patente, sembra una minchiata eh, con tutto che tranne quella attuale ho sempre avuto donne con la patente, molto amanti della guida, ma dopo un po’ anche la donna si scassa la minchia di guidare. Sono arrivato a tanto così a prendere la patente. Poi mi hanno bocciato.

Come hanno fatto a bocciarti?
Un parcheggio in retromarcia in una via in salita.

Colpa di Torino, tutte quelle colline. Senti di essere cambiato negli ultimi anni?
Per prima cosa credo di essere uno che cambia, e non è così scontato: c’è gente che non cambia mai molto. Se analizzo me stesso negli ultimi quindici, vent’anni vedo dei cambiamenti grossi: è stato tutto molto lento, con una progressione lenta, ma costante. Sicuramente non ho mai mollato. Non ho mai mollato in tutti questi anni malgrado le difficoltà.

E nel modo di scrivere cosa è cambiato per te?
Se leggo le poesie del 2002 e quelle di oggi, è cambiato tutto. Ho scritto un romanzo, che se me lo avessi detto cinque anni fa ti avrei detto “Sei pazzo?”, sono cambiate molte cose intorno a me.

Anche a livello di pubblico
Adesso faccio sold out da 600 persone paganti, prima no. Ma non credo sia legato a un mio cambiamento. È semplicemente il lavoro che ho fatto che sta dando dei frutti. Nel mondo personale, nei rapporti umani, con le donne, con gli uomini, con me stesso, credo di essere… aspetta, non sono cambiato [ride, ndr] quindi non è vero quello che ho detto prima! Sono forse un po’ più sereno nei rapporti, ma anche lì non è vero. Sono meno geloso, meno invidioso.

 

DSC_6548catal_cut  Foto: Gabriele Ferraresi

 

Quali sono stati i momenti difficili cui accennavi?
Due o tre momenti in cui ho pensato di non poter continuare questo cammino, di non riuscire a campare di quello che mi piaceva fare.

C’è stato un momento preciso?
A un certo punto sono partito per la Svizzera, per amore, stiamo parlando di dieci anni fa: ero convinto di andare a vivere a Losanna, nel momento in cui l’avessi fatto la mia carriera che era all’inizio difficilmente avrebbe avuto uno sviluppo. Losanna è bellissima, universitaria, molto viva, solo che gli svizzeri sono matti. Proprio matti. Gli italiani che hanno dovuto andare in Svizzera, a emigrare… non oso immaginare, è un altro mondo, lì vivono il rapporto con il lavoro in maniera globale, non esistono i poveri semplicemente perché tutti lavorano trenta ore al giorno.

Che lavoro avresti fatto a Losanna?
Il pizzaiolo polivalente, oppure sarei finito all’università come lettore di Italiano, ma non avevo le carte in regola. Sono durato quindici giorni.

Chissà cosa avresti potuto fare a Losanna…
Ho avuto tanti piccoli momenti complicati, a parte quello. Come ti dicevo la strada che ho fatto è stata lenta e in salita, ma c’è stato sempre un miglioramento. Un altro momento difficile però è stato quando finii in tv. Sono sempre state esperienza fortissime psicologicamente, interessanti, poi mi sono reso conto che stai davanti a uno, due milioni di persone, e poi non cambia niente. Al pubblico che intercetti magari non interessi, magari pensano solo “Ma chi è quello che la barba che legge cose assurde?”.

Attivo con un blog in tempi non sospetti, ormai dieci anni fa, Catalano è riuscito a portare per mano il suo pubblico dagli spettacoli, i suoi reading e i suoi live per mano online, creando una comunità di cultori. L’avvento dell’era dei social media ha, come lui stesso racconta, amplificato il buon lavoro che aveva svolto in precedenza. Sia in positivo, che in negativo.

Che genere di persone ti contattano online?
È impressionante. Da quando è uscito il romanzo poi… mi scrivono di tutto, da complimenti semplici, a qualche offerta di incontro, a insulti, anche se adesso meno.

Che genere di insulti?
Ah vai a vedere sul Fatto Quotidiano, ho un blog lì…

Non vanno guardati quei commenti lì…
Nessuno che abbia un po’ di hater guarda davvero gli hater. Ma del resto se non hai odiatori vuol dire che stai sbagliando qualcosa, è proprio scienza, non è che lo dico io. Se piaci a tutti vuol dire che racconti le cose ai tuoi genitori, ai tuoi amici e basta. A meno che tu non sia Elio e le Storie Tese, solo loro mi sembrano senza hater. Adesso sul Fatto mi insultano meno, almeno credo, io evito di guardarli quei commenti lì. Evito perché lì è proprio lanciarsi in mare aperto, e c’è di tutto, ma non solo sul Fatto eh, anche se vai su Repubblica è la stessa cosa. Più interessanti sono gli odiatori da Facebook, e ci sono, arrivano a odiarmi “a casa mia”: io ho un Facebook aperto, permetto a tutti di scrivermi sulla bacheca. Se tutto va bene aumenteranno, se succedessero le cose che spero succedano, aumenteranno ma è normale.

 

Foto: Gabriele Ferraresi  Foto: Gabriele Ferraresi

 

Chi è che ti odia?
Normalmente sono i poeti intransigenti, gli accademici, spesso pessimi poeti, che stanno tra di loro, e sono infastiditi che io sia un caso che rovina un po’ il meccanismo basato sul “la poesia è poesia se non vende”. Per quanto poi queste persone dicano che la poesia debba andare al popolo, loro sono rinchiusi nelle loro confraternite… e il fatto che ci sia uno che scrive poesie che spesso fanno anche ridere è un’altra cosa che non è mai accettata, la comicità, l’ironia, in certi ambiti.

Perché in certi ambiti c’è la pallosità come cifra stilistica ed esistenziale?
Ah la pallosità, l’hai detto tu! E lo dico anch’io certe volte.

Ignorali
L’unica è ignorarli.

Mi ricordo una bella intervista a Eva Robin’s, in cui le chiedevano se leggesse i giornali, lei rispondeva “Non leggo i giornali, mi contaminano il karma”. Dovremmo fare così anche con i commenti
[Ride] Eh, ma è difficile resistere. L’ultimo oggi, ho postato un pezzo di romanzo in cui dico che il personaggio Giacomo racconta che gli mancano i gatti, c’è anche una poesia che parla di quello. Un verso recita Ho paura di andare in astinenza da gatti, e di morire d’infarto e un tizio mi ha scritto “Ma come ti permetti di parlare così dell’infarto, si vede che…” magari è un signore infartuato da poco, a me spiaceva moltissimo. Era solo una battuta in cui ho messo la parola “infarto”.

Non se ne esce
Non se ne esce.

Nella tua biografia leggo che “Son quattro anni che non ho una fidanzata e quindici che non ho un gatto”. Dopo la conversazione di oggi direi che è da aggiornare la parte della fidanzata: hai degli animali domestici?
Ho avuto dei pesci, ma non mi hanno dato molta soddisfazione. I pesci muoiono.

Mi sembra inevitabile, ma dipende dopo quanto
Pesci, uccelli, tartarughe, è meglio lasciarli nel loro ambiente. Io sono un gattista, sono nato e cresciuto per i primi vent’anni con i gatti, anzi con una gatta che ha vissuto vent’anni. Poi non ne ho più avuti, perché – ma forse è un po’ un alibi – ho una casa piccola, sono sempre in giro. Però mi piacerebbe. Una cosa che mi infastidisce molto però è che se hai un gatto in casa lo devi sterilizzare. Tu per farli stare meglio tagli i coglioni, togli le ovaie, no… da bambino non mi ponevo il problema, adesso sì: mi fa un po’ impressione.

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