Con Goodbye, Eri Tatsuki Fujimoto ci consegna un capolavoro di fantasia e umanità.
Goodbye, Eri è un’opera gigantesca, talmente profonda e impattante che, ne sono certo, lascerà la sua traccia luminosa nel cielo, proprio come una cometa, negli anni a venire. Voglio iniziare così questa mia disamina del manga di Tatsuki Fujimoto, autore di Fire Punch e Chainsaw Man (oltre di Look Back) perché non voglio lasciare ogni spazio a dubbi: il tankobon pubblicato da Star Comics è una lettura obbligata non solo per chi ama i manga o i fumetti in generale ma per tutti, nessuno escluso.
Il protagonista di questa storia è un ragazzo come tanti che, ahinoi, si trova a soli dodici anni alle prese con un evento devastante: sua madre è malata terminale e, conoscendo la passione del figlio per il mondo del cinema, gli chiede di riprenderla fino all’ultimo. Il nostro ragazzo si prodiga a mantenere l’impegno e le prime pagine del manga sono una sinfonia del “montaggio rapido”, con una sequenza di vignette deliziose di vita quotidiana con protagonista la mamma, fino all’ultimo. Anzi, fino quasi all’ultimo perché, l’ultimo giorno, il giorno della morte, il nostro ragazzo si scansa, rifiuta l’invito del padre a raggiungere la madre, per l’ultima volta in ospedale e scappa. Dietro di lui, alle sue spalle, l’ospedale esplode con un boato gigantesco.
Così si conclude il film che il nostro ragazzo presenta a scuola, il memento mori per la madre. Egli è speranzoso che possa venire accolto con entusiasmo ma l’effetto è contrario: tutti lo criticano, i compagni lo prendono in giro e i professori lo rimproverano. Lo studente non riesce a reggere il peso emotivo di tutto questo e decide di farla finita. Raggiunge il tetto dell’ospedale dove era spirata la madre per suicidarsi buttandosi di sotto ma qui, proprio così, incontra un Deus ex machina: Eri, una misteriosa ragazza che lo invita a guardare un film con lei, anzi una serie di film. Goodbye, Eri, non volendo andare oltre a raccontarvi la trama, è un trionfo del montaggio e della sceneggiatura, in cui Fujimoto infonde tutta la sua filosofia di vita e l’amore, nonostante tutto, nei confronti della altre persone. È una poesia a fumetti dedicata ai rapporti interpersonali, senza momenti sdolcinato o strappalacrime per il gusto di esserlo ma con la brutale, totale e impressionante forza delle relazioni umane. Con un sapientissimo uso/citazione dell’elemento fantastico e sovrannaturale che ho trovato praticamente perfetto.
Si piange qui? Certo, ma non solo, si ride anche ma, soprattutto, si rimane colpiti nel mondo in cui l’autore, al tempo stesso, mette in scena una vicenda da un lato assolutamente vera e dall’altro assolutamente falsa, proprio come un’opera d’arte dovrebbe essere. E in fondo il padre, il mio personaggio preferito della storia, lo dice a un certo punto: “L’opera d’arte irrompe tra i problemi di chi ne fruisce, facendolo ridere o piangere. Perciò, in tal senso, è giusto che soffrano un po’ anche gli autori”. Ragazze, ragazzi, se questo non è un capolavoro non so davvero cosa sia. Goodbye, Eri, Memento amori.