Malibu di Eliana Albertini (la conoscete qui) è un’esperienza davvero strana. Di graphic novel di ragazze fortunatamente negli ultimi tempi ne escono molte; personalmente prediligo le narrazioni crude tipo Nova o Fumettibrutti, ma questo fumetto mi ha davvero spiazzato. Malibu è pieno di silenzi e panorami desolanti dello squallore provinciale. Si parla della provincia del Delta del Po, il nord est operoso ma non ci sono riferimenti alla politica, perché in provincia tutto si mischia: alto con basso, dio e satana, destra e sinistra, morale e amorale, ricco e povero, giovane con vecchio e così via.
Penserete: non sono di quelle parti, non me ne frega niente, ed è lì che vi sbagliate. La sceneggiatura e l’illustrazione di Eliana hanno un che di chirurgico e insieme espressionista, sospeso nel tempo e nello spazio, in quei non luoghi tipici dell’abbandono o della ressa, dai supermarket imballati di gente alle fabbriche abbandonate.
Le storie sono familiari a tutti quelli che hanno vissuto in provincia, e sono molti perché l’Italia non è mai stata un paese metropolitano e in ogni caso, è più facile scappare dalla provincia che togliersela di dosso. Esempio: sono toscano e ho sempre vissuto nei paesi. Bene, in Malibu rivedo le discoteche costruite dalle amministrazioni comunali per il voto e una volta ottenuto lasciate a marcire tra i campi, vedo quella violenza che striscia sottile nelle amicizie di comodo per non restare soli, le chiusure verso il diverso ma anche l’accettazione di ogni tipo di stranezza.
È estraniante e insieme ordinaria la provincia di Malibu, sono convinto che tutti portino un pezzo di se stessi dentro quelle tavole, quegli incroci, quei cartelli stradali e quel finale tanto umano quanto devastante.
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