A che serve studiare il greco? E il latino? In fondo, a cosa serve frequentare un liceo? Sono le domande che ci siamo fatti quando al liceo andavamo, chi ci è andato. Chi dopo la terza media aveva scelto altro si chiedeva cosa serviva studiare altro, solitamente qualcosa che riteneva inutile nell’esistenza e poi, sorpresa! Serviva eccome.
È un dibattito che ogni tanto torna caldo quello sull’attualità degli studi umanistici: Claudio Giunta – autore dell’antologia per le superiori Cuori Intelligenti – ne scriveva qualche tempo fa sul Sole24Ore, in un pezzo intitolato La fine del classico come metonimia.
Giunta è un professore quarantenne e scrive: “Nei trent’anni che sono passati dal mio ingresso al liceo classico, infatti, il mondo è cambiato, forse più ancora di quanto fosse cambiato nei sessant’anni che separavano i miei anni Ottanta dalla riforma Gentile. Cambiamenti strutturali (…) e cambiamenti culturali, in parte conseguenza di quelli strutturali, e che hanno intaccato quel complesso di idee e valori che sono il fondamento della pedagogia del liceo classico. Umanesimo/tecnologia, lingue morte/vive, tradizione/innovazione, conoscenza/competenza, teoria/pratica – tutti i termini sui quali il mondo di ieri metteva un segno più, i primi di ciascuna coppia, adesso hanno un segno meno: non che il mondo di oggi li snobbi del tutto, questo non si può dire, ma preferisce i secondi“. Ecco.
È a questo che ho pensato quando ho incrociato La Lingua geniale – 9 ragioni per amare il greco, un volumetto agile di Andrea Marcolongo uscito per Laterza. Andrea Marcolongo è giornalista, ghostwriter, consulente di comunicazione – si era parlato di lei un annetto fa, qui il manifesto riassume la sua vicenda – ma non è di ieri che vogliamo parlare oggi.
Vogliamo rispondere alla domanda di partenza: a cosa serve studiare il greco? E anche a qualcos’altro…
Andrea, dritti al punto: nell’epoca delle emoji, a cosa serve studiare il greco antico?
Vorrei citare Virginia Woolf, che diceva che “è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione – e della nostra epoca”. Lo stesso motivo per cui al greco sono tornata io scrivendo questo libro: ero stanca della vaghezza del modo di dire – e dunque di vedere – la vita di oggi. Citare le emoji – che io chiamo moderni pittogrammi – non vale, e non è nemmeno una buona ragione per studiare il greco antico, e poi ci sono tante altre lingue bellissime al mondo, come l’urdu, che sto bazzicando ultimamente. Studiare il greco, o anche solo leggere il mio libro, che non è affatto destinato solo a chi il greco già lo conosce, anzi, serve a scoprire nuovi modi per capire e farsi capire, anche e soprattutto nel 2016.
In La lingua geniale racconti nove ragioni per amare il greco: scegline una
Scelgo l’aspetto, la prima delle “nove ragioni”, quella che è stata l’inizio e che ha dato senso a tutto. Il greco antico aveva infatti un altro modo di considerare il tempo e il suo effetto sulla vita umana – e dunque sul modo di raccontare il mondo: non si chiedeva mai quando una cosa accade, ma come accade. Era una lingua che non prestava particolare cura alla disposizione temporale delle azioni – come le nostre foto ricordo sul comodino – ma alle loro conseguenze. E quindi se all’aspetto presente sto mangiando, al perfetto sono sazio. O se vedo allora so. Se sto amando forse sono innamorato e così via. È per questa ragione che spesso i verbi greci sembrano così complicati, strani, irregolari – la bellezza dell’anomalia. Forse un po’ meno belli sono i paradigmi che si imparano a memoria al liceo classico – come l’Ave Maria, dicevano i miei professori! -, prova concreta di come si tenti di applicare una nostra categoria, quella del tempo, a una lingua che ne era sprovvista. Una particolarità su tutte riguardo l’aspetto? Non esiste un aspetto per il futuro, perché non c’è come delle cose, c’è solo da viverle. Μέλλω in greco significa “stare per”, al presente, vivere per avere coraggio. Chi ha paura invece sta. Sta fermo e basta.
Parlare di greco equivale in Italia a parlare di liceo classico. Non posso non chiederti: a cosa serve nel 2016 il liceo classico?
Premetto che il mio libro si pone, da subito, in posizione apertamente poco accademica e anche un po’ polemica rispetto ai metodi d’insegnamento: parlo di greco, ma lo stesso vale per la storia, la filosofia, la matematica e tutte le altre materie che si studiano non solo al liceo classico, ma in ogni altro liceo. Non dico di non studiare, affatto: sconsiglio di imporre come metodo la memoria supina, l’obbligo del non fare domande fino alla tortura delle declinazioni e dei paradigmi da imparare come litanie. Così si finisce per trascorre cinque anni di prigione dentro una lingua, il greco, senza saperla mai per davvero, senza farla propria: nel libro sono tante le storie che racconto, dai mie studenti che perdono il sonno (e la vista) sui dizionari per imparare a memoria parole senza capirne il senso, fino agli incubi di amici ormai quarantenni che ancora ora si sognano un’interrogazione al liceo. Senza comprensione, ogni studio resta senza senso e il risultato è l’oblio.
Immagino tu abbia frequentato il classico: potendo tornare indietro nel tempo e incontrarti al primo giorno di scuola, c’è un avvertimento che ti vorresti dare?
Non solo ho frequentato il liceo classico, ma persino lettere classiche (naturalmente dopo un gap year in giro per il mondo per riprendermi). Spesso mi capita di tornare indietro e di incontrarmi di nuovo, giovane e un poco spersa nel mondo come solo si è a quattordici anni, nei ragazzini cui da sempre dò lezioni di greco. Un avvertimento o un consiglio che mi piace sempre dar loro è: divertitevi. Fate tutte le domande che potete. Siate curiosi, scivolate sotto la superficie delle regole grammaticali e della naturale paura che una lingua antica impone. Dimenticate l’apprendimento a memoria fine a se stesso: ciò non significa non studiare, per carità, ma significa provare a capire la lingua. Il greco antico, come ogni lingua, serviva a raffigurare un mondo: provate a pensare come pensavano i Greci. Con un buon manuale accanto, non c’è versione che possa fare paura, perché il greco antico sarà vostro, diventerà parte di voi. Proprio “giocare a pensare come un Greco antico”, anche per chi non conosce il greco, è una delle anime del mio libro.
Il greco è la lingua del mito, di qualcosa che è dentro di noi e non sparirà mai: già questo sarebbe un buon motivo per conoscerla
Sono solita dire che nei testi greci ormai non leggiamo più il mondo greco, leggiamo noi stessi. Il mito che più amo è senza dubbio quello di Medea: donna eccezionale, straniera e bellissima, innamorata di Giasone fino a perdersi in quell’amore e a smarrire se stessa. Le Argonautiche, il viaggio della prima nave al mondo, Argo, e l’arrivo nella Colchide dove Medea incontra quello che ritiene l’amore della sua vita, l’amore supremo: per quest’uomo rinnega la sua famiglia, le sue origini. E’ un mito di amore e di dolore, di fedeltà ma soprattutto di abbandono. Consiglio a tutti non solo di leggere Euripide, ma di vedere lo splendido film dedicato a questa saga da Pasolini, dove Medea è interpretata da Maria Callas.
Derby: latino contro greco, chi vince?
Lascerei la risposta ai calci di rigore! Io sono una grecista atipica, ovvero mi sono laureata in Filologia classica con una tesi di latino – e poi finisco a scrivere libri di greco! Per molti il latino è più vicino a noi, è la lingua da cui deriva quasi ogni nostra parola (‘hashtag’ esclusa). Ma il fascino del greco che, a differenza del latino, non si è mai evoluto in altro da sé, ma è sempre mutato dentro di sé, verticale, lontano spinge ad un viaggio di seduzione senza pari.
Sfatiamo miti, oppure, che so, creiamoli: se uno sa bene il greco antico al liceo, se la cava bene anche in vacanza a Mykonos, oggi?
Nel mio libro sottolineo c’è proprio un capitolo dedicato a questo: Il silenzio del greco antico. Ovvero, non è sopravvissuto alcun Greco antico che parli oggi greco antico, perciò la lingua è muta come sono muti i marmi del Partenone: non sapremo mai con esattezza come una parola greca dovesse essere pronunciata. Quindi no, aver fatto il liceo classico serve poco per ordinare un cocktail a Mykonos. Eppure, poiché il greco è una lingua che si evoluta così poco che il greco moderno, almeno scritto, non è che la diretta prosecuzione del greco antico (a differenza del latino che si è evoluto in italiano, francese, spagnolo, romeno), forse aver fatto il liceo classico permette di capire buona parte delle parole riportate su un quotidiano. E poi vuoi mettere il figurone di saper leggere un altro alfabeto?
Tre autori classici greci da leggere, magari con testo a fronte, per innamorarsi della lingua
Omero e ancora Omero, sempre, perché in Iliade e Odissea è contenuta l’essenza dell’essere umano; Senofonte, Anabasi: il viaggio dei mercenari greci dal ritorno della Persia. La parte in cui, dopo aver marciato per settimane, rivedono tra le lacrime il mare è commozione pura (e la trama di complotti, intrighi e battaglie non ha nulla da invidiare a Game of Thrones); Una tragedia o una commedia. Cito l’Edipo Re, perché ne sono molto legata: è un manuale pratico e molto umano sulla casualità della vita e sul suo dolore.
Tre autori classici greci da evitare come la peste, che non hai mai potuto soffrire
Pindaro, che “tutti esaltano e nessuno comprese”, come scriveva Voltaire. Nel mio libro c’è una tirata contro di lui che mi causerà il ritiro della laurea, credo! L’oratore politico Demostene che, sebbene a lucidità faccia impallidire un qualsiasi politico contemporaneo, è minuzioso, specioso e… difficile da tradurre! Nonno di Panopoli (e già con un nome così!), autore di uno dei poemi più lunghi della letteratura greca – e uno dei più noiosi.
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