Quante volte abbiamo sentito questa frase, magari bevendo uno spritz all’ora dell’aperitivo appena usciti dall’ufficio: “Sai a me, nei film, nei videogiochi o nei fumetti sta sempre più simpatico il cattivo del buono: non amo i protagonisti senza macchia, sono affascinato dagli antagonisti pieni di fascino e mistero”. Seppur condivisibile quest’affermazione si scontra, oggi più che mai, con un dato di fatto: è vero, di solito i cattivi sono spesso più interessanti dei buoni ma ciò non vale per Tex Willer, l’eroe western targato Sergio Bonelli Editore per eccellenza, che compie quest’anno 70 anni e a cui è dedicata una mostra al Museo Permanente di Milano.
Tex Willer ci ha insegnato che il bene e il male hanno contorti ben netti e distinti. Nessun tipo di titubanza per il ranger texano che, in compagnia del fidato Kit Carson o del figlio Kit Willer o del pard indiano Tiger Jack, si schiererà sempre in difesa del più debole, andando contro gli interessi di possidenti terrieri senza scrupoli, banditi assetati di sangue o anche stregoni che utilizzano un miscuglio di riti voodo e santeria oscura. Questa chiarezza degli intenti del cowboy potrebbe rappresentare una delle caratteristiche meno funzionali ai tempi moderni eppure proprio questa patina vintage, anzi “vecchio stampo”, di marca Bonelli è proprio una delle più grandi ragioni fascino che ci fanno amare ieri, oggi e domani Tex Willer.
Che poi, non è mica semplice arrivare a 70 anni suonati con questa freschezza e lucentezza. Se si pensa che il fumetto è nato nel 1948, quando, per dire, lo scudetto lo vinceva il Grande Torino di Valentino Mazzola, Togliatti era a capo del più grande Partito Comunista d’Occidente e sulle strade d’Italia e di Francia il duello Coppi e Bartali infiammava le cronache sportive (e non solo), si comprende bene quante cose siano cambiate da allora. Eppure Tex è rimasto sempre uguale, con qualche piccola ma decisiva modifica certo, ma proprio il suo essere tutto d’un pezzo è uno dei motivi per cui gli vogliamo bene, proprio come un vecchio zio o il nonno che ci ha insegnato ad andare in bici.
E poi quante avventure di grande grandissima qualità a livello di scrittura e sceneggiatura ha vissuto Tex in questi lunghi anni? Ce ne sono per tutti i gusti, dalle storie legate alla Guerra di Secessione (con quelle atmosfere che tendono a richiamare Il Buono, il Brutto e il Cattivo di Sergio Leone) oppure con avventure quasi fantasy, con tanto della già citata magia nera (ad opera di Mefisto il grande, grandissimo nemico del nostro ranger) sino a comparsate di animali preistorici come Tirannosauri a caccia nelle grandi pianure del Vecchio West.
Eppure nonostante questa varietà di toni e di scelte, Tex Willer ha una sorta di unità di fondo che ce lo rende immediatamente riconoscibile: sappiamo come ragiona il nostro cowboy e sappiamo che, sin dal 1948, si è sempre schierato in difesa delle, anche se allora non si diceva, minoranze etniche in difficoltà. Già perché se si pensa che il primo film western dove gli indiani non sono degli infidi subumani è L’Amante indiana del 1950, è chiaro ed evidente come il fumetto italiano sia, fin dall’inizio, estremamente moderno e tollerante verso tutti. Tanto è vero che Tex si è sposato proprio con un’indiana, diventando capotribù e ottenendo il nome indio di “Aquila della Notte”.
Modernità e antichità, tolleranza e valori, battute nei momenti difficili e linguaggio aulico è un po’ fané (“Giù le mani dal malloppo”, “Gaglioffo come osi”, “Farabutto non penserai di svignartela?”) Tex Willer non ha mai spesso di far breccia nei nostri cuori. 70 anni di questi giorni Aquila della Notte, ci si becca come sempre nelle pianure del Texas a lottare contro il male.
Tex – Nueces Valley
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