Il signor Marino Peiretti, dal suo profilo Facebook ha condiviso una lettera in cui spiega con proprietà di linguaggio, il motivo per il quale suo figlio non ha fatto i compiti scolastici estivi. “Abbiamo fatto molte cose durante l’estate: lunghe gite in bici, vita di campeggio, gestione della casa e della cucina. Abbiamo costruito una nuova scrivania e l’ho aiutato, sponsorizzandolo, nel suo interesse primario: programmazione ed elettronica.”
E ancora “Sempre convinto del fatto che i compiti estivi siano deleteri, non ho mai visto professionisti seri portarsi il lavoro in vacanza, anzi. Voi avete nove mesi circa per insegnargli nozioni e cultura, io tre mesi pieni per insegnargli a vivere.”
La lettera è stata condivisa da quasi 2000 persone e ha fatto il giro dei quotidiani nazionali, seguita da una folla di consensi, come nel miglior caso di raduno populista in piazza. Analizzandola a fondo però, lascia in bocca un po’ d’amaro in bocca e qualche domanda a cui rispondere.
Siamo proprio convinti che stia dando un’ottima lezione di vita al figlio? Non è che quest’ultimo potrebbe sviluppare un senso di superiorità nei confronti del dovere e dell’autorità? Ok, detta così sembra provenire direttamente dal libro Cuore o dal manuale dei piccoli Balilla, me ne rendo conto, ma quella parola che non piace a nessuno, stringi stringi è una componente della vita vera, al pari del campeggio e dell’informatica e non è per niente male trovarcisi un minimo preparati.
Mi spiego: ero un piccolo ribelle a scuola e ricordo perfettamente quando, coi miei professori, criticavo apertamente l’esame di maturità, dicendo loro le ragioni per cui secondo me non sarebbe servito a nulla in real life. Uno dei miei docenti mi prese da parte e mi disse: “Ma non credi che la prova che stai per affrontare determini la maturità con cui ti ci approcci?”. Detta in parole povere: di fronte a un dovere, vediamo come te la cavi giovane Stark, ché il mondo là fuori è oscuro e pieno di terrori.
Mi perdoni il signor Marino, ma quella dei seri professionisti che non si portano mai il lavoro in vacanza mi fa venire in mente l’estate di Gianluca Vacchi o di Bobo Vieri. Nella vita vera ci sono fior di professionisti che in vacanza, un occhio al lavoro ogni tanto devono pur darglielo, perché la partita I.V.A. non perdona, l’affitto da pagare è sempre lì e magari, vai a sapere, perché lo amano, il proprio lavoro.
C’è davvero bisogno di svuotare i professori di ogni autorevolezza? Gli stessi che vivono di contratti ridicoli, che non sono più in grado di gestire gli alunni perché i genitori sempre più spesso fanno loro da bodyguard e battono i pugni se loro figlio ha preso un’insufficienza o un rapporto disciplinare?
Ecco, Mattia avrebbe potuto fare il campeggio, imparare a cucinare, girare in bici e diventare un piccolo informatico lo stesso, poi, per un’ora al giorno, avrebbe potuto anche fare i compiti come tutti i suoi compagni di classe. Perché gli sono stati assegnati, perché imparare l’equilibrio è fondamentale, perché probabilmente non ha bisogno che suo padre parli al posto suo, perché sicuramente non ha bisogno dell’esposizione mediatica a cui il padre l’ha sottoposto suo malgrado. Il dibattito sui compiti a casa è sacrosanto, ma può essere svolto nelle sedi appropriate, senza gli estremismi tipici dei social.