L’attesissima ep di Bethesda è, finalmente, realtà ma com’è Starfield?
Ma com’è Starfield? Questa è stata la domanda, piuttosto martellante, che praticamente chiunque mi ha rivolto nelle ultime settimana. Già perché la nuova ep di Bethesda, la prima dopo 25 anni di Elder’s Scrolls e Fallout oltre che di Doom, non poteva non essere oggetto di un interesse tra il morboso e il sincero da parte degli appassionati. Perciò nell’ultimo fine settimana mi sono messo il casco da astronauta e mi sono messo a esplorare in lungo e in largo sulla mia Xbox Series X questo nuovo, titanico, gioco. Ovviamente, lo dico subito giusto per fugare ogni possibile dubbio, dopo circa una quindicina di ore di gioco, spalmate, in maniera piuttosto omogena, su tre giorni non si può avere un quadro completo né un giudizio definitivo, tuttavia penso sia importante anche, diciamo così, registrare alcune impressioni “epidermiche” in merito al titolo. La prima cosa da notare in Starfield è che le promesse fatte durante la campagna marketing, alla prova di quindici ore di gioco, paiono essere tutte quante vere: si ha, infatti, davvero l’impressione di stare avendo a che fare con una space-opera di dimensioni titaniche, dove il giocatore, dopo un prologo poderoso ma non prolisso, viene gettato senza, troppa, soluzione di continuità.
Chi, in sede di campagna marketing e comunicazione, lo aveva definitivo come “lo Skyrim dello spazio” in fondo non c’è andato troppo lontano: si respira, in modo proprio evidente, l’enormità e vastità dell’opera di Bethesda che attraverso un sistema classico, forse fin troppo classico (ma ci tornerò sul tema) dà in mano ai giocatori praticamente le chiavi della propria avventura. La seconda cosa che salta all’occhio e la qualità, veramente molto elevata, della scrittura e dei dialoghi e delle quest che, giusto per farvi capire meglio, “possono nascere” veramente da piccoli dettagli: durante lo scontro a fuoco contro una banda di pirati spaziali ti ritrovi nel loro covo a razziare una cassa con dentro un materiale prezioso? Beh ottima scelta peccato solo che quando tornerai a New Atlantis, una specie di “capitale”, i controllori potrebbero arrestarti per “spaccio di materiale illegale”. Ad ogni azione corrispondenza una reazione da parte del sistema di gioco, dalla polizia, agli npc: insomma i fasti, in negativo, di Cyberpunk 2077 (il titolo degli ultimi che maggiormente si avvicina a Starfield) sono molto distanti.
Proseguendo con il paragone, per contrasto, con il titolo di Cd Project, Starfield “marcia” molto bene su Xbox Series X, con l’ormai famoso “lock” a 30fps che sono sempre stabili a parte in qualche momento nelle città di maggiori dimensioni, con qualche pop-up invasivo di troppo ma anche un buon numero di npc. Ah, a proposito gli npc, o per meglio dire i companion: beh, un fiore all’occhiello. Non solo sono utili in combat ma sono utilissimi anche e soprattutto durante le fasi di esplorazioni e di dialogo, fornendo informazioni e, perché no, possibili approcci “altri” alle varie quest, con linee di dialogo proprietarie e relazioni che vanno intessute nel corso della propria esperienza. Per farvi un esempio concreto durante un rapimento ho provato, grazie a un salvataggio un attimo prima di “aprire le danze”, a realizzare molteplici approcci: uno più muscolare ad armi spianate, l’altro di tipo monetario, pagando il riscatto e, infine, un altro tutto quanto basato sul dialogo e sulla trattativa. Ebbene tutti e tre gli ingaggi hanno funzionato, fornendomi linee di dialogo, scene e reazioni extra e differenti ogni volta: questo è quello che dovrebbe fare un gioco di ruolo, vero Cyberpunk?
Decisamente meno bene, invece, sul lato del gunplay: se la “creatura” di Cd Project, tanto per dire, aveva realizzato un buon sistema di shooting, qui siamo di fronte a un sistema un po’ impreciso, con poca sensazione di stare veramente sparando e con npc che, esattamente come nel titolo polacco, non danno “segnali di vita”. Purtroppo, ancora una volta, la IA non è, affatto, da gioco next gen ma si attesta sulla classica “qualità” di Skyrim, con nemici che, spesso e volentieri, se ne stanno in mezzo all’arena a farsi maciullare. Ciò non avviene spesso e ci sono dei combattimenti, soprattutto quelli più spettacolari e di “trama” dove gli avversari cercano coperture e tentano di stanarti (magari utilizzando il prodigioso jetpack) ma questi sono momenti troppo minoritari rispetto a un’esperienza troppo vecchio stile. Ecco, in tal senso, dopo quindici ore al netto di un generale e deciso apprezzamento per il videogioco di Bethesda, la cosa forse che più mi è mancata è stata la sensazione di meraviglia e possanza che in Skyrim ti travolgeva dopo un paio d’ore. Insomma non si prova, quasi mai, la sensazione di stare provando un titolo che detterà la linea agli anni a venire ma “semplicemente” a un gran bel videogioco, sicuramente importante ma non “game changer”, mi si passi il gioco di parole.
Però è anche vero che in questi tre giorni non ho fatto altro che esplorare, esplorare e ancora esplorare e la voglia di rifarlo di nuovo mi sta già venendo mentre sto scrivendo queste righe. Il mondo vasto, anzi il cosmo vastissimo di Starfield, insomma, crea sul serio dipendenza e la speranza e che l’esperienza non si mantenga su questo, ottimo, livello qualitativo ma che magari si possa impennare tra le stelle: la scrittura delle quest, anche di quelle secondarie, presenta praticamente sempre un importante livello qualitativo, quindi benissimo. Fatto salvo per il gamepay old-school non vedo l’ora di continuare a spaziare tra le distese cosmiche di Starfield.