È di nuovo un giorno rosso di sangue in Assassin’s Creed: Valhalla. Stiamo attraversando l’ennesima cittadina cinta da mura sul dorso del nostro cavallo. La gente fa finta di nulla ma ci sta guardando. Qualcuno certamente ci teme, forse sparuti gruppi ci odia ma in tantissimi ci idolatrano quasi quanto quel loro strano dio che ha per simbolo la stessa croce su cui suo figlio è spirato da uomo: noi siamo Eivor del Clan del Corvo e siamo destinati a rendere l’Inghilterra una Nazione forgiata dalla spada e dal fuoco ma anche destinata imprese. Imprese che, ne siamo sicuri, ci assicureranno un posto di fianco a Odino, con la nostra fida ascia stretta nel pugno, nel Valhalla.
Dopo aver sfiorato le venti ore di gioco in Assassin’s Creed: Valhalla, nuovo capitolo del franchise di Ubisoft, abbiamo finito per ragionare anche noi come un vichingo del IX secolo. Dopo un capitolo ambientato in Grecia durante la guerra del Peloponneso, di cui vi abbiamo parlato qui, gli Assassini ritornano questa volta nell’Inghilterra dei quattro regni, un periodo particolarmente turbolente per il Paese, mai così tanto diviso e in balia delle forze straniere. Noi siamo Eivor, un guerriero (con un tocco di classe sarà giustificato anche la scelta del genere di appartenenza del nostro avventuriero, noi abbiamo scelto una lei) che dopo essere stato cacciato dalla Norvegia decide, in compagnia del suo fido fratello acquisito, di creare da sé la propria “canzone d’onore”. E allora come tanti norreni prima di lui vede nelle dolci e verdi colline inglesi la meta/preda ideale.
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AC Valhalla presenta punti di collegamento molto forti con i due precedenti capitoli, ovvero il già citato AC Odyssey e AC Origins, inserendo grandi migliorie, fornendoci sempre la ricostruzione storica da urla e facendo, ahinoi, qualche piccolo ma comunque evidente passo indietro. Diciamolo subito: AC Valhalla rispetto a Odyssey è molto più giocoso visto che, per la stessa conformazione dell’Inghilterra, non saremo costretti per spostarci a utilizzare la propria nave o il viaggio veloce. Qui grazie a fiumi poco profondi e poche asperità, con il cavallo sarà un attimo raggiungere i vari centri di potere, controllare lo stato del nostro nascente regno e verificare il grado di alleanza dei nostri fidati/ o meno vicini di casa. Ovviamente, come da tradizione, oltre a questa storia, ci sarà anche quella parallela della ricercatrice Layla Hassan che però questa volta sarà notevolmente meglio integrata nell’economia del gioco.
Grazie a una direzione artistica che fa un deciso passo in avanti rispetto alla Grecia di Tucidide, l’Inghilterra dei secoli bui non è mai stata tanto luminosa, con un autunno che letteralmente esplode mentre sfrecciamo con il nostro destriero e puntiamo a quell’antico tempio romano in rovina. Già perché una delle trovate più gustose che abbiamo ravvisato da parte degli sviluppatori di Ubisoft è stato quello di disseminare il mondo di gioco di vestigia e monumenti dell’Impero Romano. Nonostante infatti i soldati di Roma avessero abbandonato quelle terre da ormai quasi cinquecento anni, il ricordo dell’Impero sarà ancora vivo (e sempre lo sarà nell’animo dei Britanni). Insomma rispetto ai, seppur splendidi, templi della Grecia del capitolo precedente, splendidi ma quasi “irreali” nella loro perfezione, questa decadenza e ricordo di un tempo di gloria ci ha davvero impressionato e, quasi in maniera scontata, ci ha fatto subito venire in mente certe descrizioni di paesaggi de Il Signore degli Anelli (sia la trilogia letteraria che quella cinematografia ).
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E allora scoprire un prezioso talento romano in mezzo alle rovine delle terme di Ledecester (l’attuale Leicester) oppure arrampicarsi sulla cima del tempio di Atena in mezzo ai boschi dell’Oxfordshire forniscono grandi emozioni. Emozioni paragonabili all’aver scoperta che, rispetto al capitolo precedente, si è quasi del tutto abbandonato il sistema a livelli di certi nemici speciali, che ci costringevano a “ingannare il gioco”, barando con i bug o con la limitata intelligenza artificiale, per sconfiggere quel dato avversario. Qui i nemici potranno essere battuti anche a “livello uno”, nonostante la sfida sarà molto più difficile e per l’abilità del combattente e per il suo equipaggiamento a prova di ascia. Tuttavia si può fare e l’aumento delle proprie caratteristiche e abilità nella lotta è decisamente più intuitivo e armonioso rispetto a AC Odyssey e Origins.
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Anche i biomi sono molto più vari rispetto alla Grecia e anche all’Egitto così come lo skybox: veramente un cielo impressionante quello dipinto da Ubisoft che è riuscita a mettere in piedi una storia che pur non brillando di lucidità, appassiona e rende curiosi della prossima svolta. Il sistema di alleanze, scelte e opzioni diplomatiche o guerresche che si danno nelle mani del giocatore, così come la possibilità di rendere il proprio insediamento più o meno fiorente investendo le risorse acquisite durante le razzie, sono trovate che abbiamo giudicato ottime e molto più divertenti e in linea rispetto alle battaglie campali del Peloponneso che, dopo la terza volta, cominciavano a mostrare tutta la loro ripetitiva. E poi tra tatuaggi che si possono applicare sul proprio corpo (e “scoprire via via), armature meravigliose e un sacco di armi da poter equipaggiare (compresa la possibilità di selezionare il dual wielding, ovvero imbracciare due armi, differenti o uguali, a tempo) non c’è mai da annoiarsi. Anzi, ci si perde in questo mondo fatto di variaghi d’acciaio.
Se il mondo di gioco quindi è promosso a pieni voti e pure la storia e il, seppur minimo, roleplay che si può fare, i passi indietro di cui parlavamo all’inizio sono legati al combat-system. Se infatti in Grecia il combattimento era responsivo e agile, qui è tutto molto più pesante e meccanico, con animazioni spesso slegate e colluttazioni non sempre pulitissime. Abbiamo giocato al titolo su PlayStation 4 in una versione pre-lancio (sarà disponibile anche per la nuova generazione di console ma, è bene ricordarlo, si tratta di un titolo comunque cross.-gen, quindi non ci aspettiamo “miracoli” con PS5 o con XBox Series X), quindi ci auguriamo che alcuni di questi problemi vengano risolti, così come i bug (alcune delle volte comici) che ogni tanto ci è capitato di scorgere. Menzione d’onore per i tanti minigiochi ispirati e super divertenti, come la gara di “stornelli” veramente appagante (e che ci ha fatto davvero apprezzare un doppioggio in italiano praticamente perfetto).
Tuttavia, in un open world così vasto e disegnato a arte (a parte gli orridi fasci di luce blu per segnare nell’orizzonte le missioni, che purtroppo davvero spezzano la suspension of disbelief) Assassin’s Creed: Valhalla è un titolo dal quale è veramente difficile staccarci, grazie al combinato disposto di una direzione artistica fenomenale e un mondo di gioco bellissimo da esplorare. Mai avremmo immaginato che viaggiare a dorso di cavallo nella Mercia nei panni di una vichinga sarebbe stato così meraviglioso. Quasi ci pareva di essere a Novigrad in The Witcher 3.
Assassin’s Creed: Valhalla
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