Kingdom Come: Deliverance II di Warhorse Studios è un instant-classic del gioco di ruolo.
La portata effettiva di Kingdom Come: Deliverance II, ne sono sicuro, l’avvertiremo nel corso dei prossimi anni. Già perché il videogioco sviluppato da Warhorse Studios non è “solo” un bel videogioco, uno di quei titoli che si meritano un 8.8 senza alcun dubbio, ma anche e soprattutto un esempio di un “certo” modo di realizzare le opere con dedizione, passione e personalità. Ma andiamo con ordine. Ho avuto modo di provare, diffusamente, Kingdom Come: Deliverance II per circa una trentina di ore, quindi, grosso modo, arrivando a un terzo dell’avventura, senza considerare le sub-quest e completisimi vari su PlayStation 5 e ne sono rimasto estasiato. Se il primo capitolo era un poco rozzo e “rotto” questo secondo, al di là di alcune bug che di tanto in tanto capitano (come “sparate di illuminazioni” improvvise durante il gioco), migliora in tutto, fornendo un’esperienza veramente irrinunciabile per chi ama il gioco di ruolo e, perché no, pure immergersi in una determinata epoca storica.
Uno dei problemi più grandi, un vero e proprio ostacolo per tantissime giocatrici e giocatori, di KCDI era il sistema di combattimento. La possibilità di menar fendenti in cinque direzioni unito a un sistema di parata e contrattacco abbastanza mal gestito rendeva l’esperienza del combattimento sfibrante, tanto che in molti, me compreso, nel primo capitolo preferivano sempre un approccio stealth o comunque “ladresco” piuttosto che una “pugna onorevole”. In questo secondo capitolo le cose sono decisamente migliorate e pur non rappresentando sicuramente l’apice della produzione, il combat-system è stato ripensamento verso una semplificazione, con “sole” quattro direzioni d’attacco e un sistema di risposta/contrattacco molto più intuitivo e funzionale. Ma dove KCDII tocca delle vette, a mio avviso, è nella sua natura, più profonda e vera, di gioco di ruolo. La parabola di Henry non solo è plasmabile attraverso le nostre scelte morali e di approccio nei dialoghi ma anche e soprattutto nel modo in cui intendiamo affrontare il mondo di gioco.
Anche dopo ore ore di gioco e nonostante, magari, si sia coperti da una pesante armature, anche una semplice imboscata in un bosco potrebbe essere fatali, perché Kingdom Come Deliverance II “esige” al giocatore una grande attenzione di approccio, con molto da leggere e da capire, dando in cambio tantissime modalità differenti e inusuali di approccio. Ad esempio ho adorato il sistema di “crafting” dedicato all’alchimia: raccogliere erbe medicamentose, un procedimento, diciamolo, piuttosto noioso in più della metà dei giochi contemporanei, qui trova un rinnovato senso grazie allo studio e all’applicazione dell’alchimia. Non si “pigia”, semplicemente, un tasto e si ha un decotto: qui bisogna proprio “cucinarlo”, con tanto di pentoloni, alambicchi, punti, esatti, di ebollizione e rispetto dei tempi di cottura. Certo non è la roba più arcade del mondo ma, hey, siamo in un gioco di ruolo e quindi il rispetto delle regole del mondo è sacro: il Medioevo ci chiede di rispettare i “suoi” tempi, usi e costumi. Se andiamo in un villaggio di povera gente abbigliati come dei bellimbusti di città, automaticamente potremmo attirare l’invidia e l’odio dei paesani, viceversa se in città ci aggireremo “puzzando come dei muli”, dopo giorni e giorni di cavalcate senza mai essersi lavati al fiume o in trogolo potremo scordarci di avere la benché minima interazione sociale.
Cavaliere forzuto, ladro astuto, dotto sapiente oppure gaudente guascone, il mondo di Kingdom Come: Deliverance II e la storia si “adatterà” alle vostre scelte, in modo molto naturale. Per altro vorrei segnalare un plauso per le missioni secondarie che rappresentano un vero e proprio picco dei Warhorse in termini di scrittura e di game-design, davvero un grande lavoro (e non è un caso che, ad oggi, la sceneggiatura di KCDII rappresenti la sceneggiatura più lunga e mastodontica della storia dei videogiochi, con oltre undici pagine di copione. Insomma un videogioco che andrebbe “insegnato” nelle scuole di scrittura creativa. Ah e il gioco d’azzardo in questo titolo è assuefacente, occhio a non perdere tutto al tavolo di gioco! Che gioco questo gioco!